Il 21 maggio si è aperto, con la relazione del segretario nazionale Aldo Grasselli, il 52° Congresso Nazionale del Sindacato Italiano Veterinari di Medicina Pubblica che vede riuniti ad Arzachena (SS) fino al 24 maggio 250 medici veterinari di sanità pubblica delle ASL e degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali. Al Congresso nazionale prende parte anche una delegazione del Veneto guidata dal segretario regionale Paolo Camerotto.
Nel corso del Congresso “PROSPETTIVE SINDACALI E PREPARAZIONE DEI NUOVI QUADRI – I Contratti e gli Accordi Collettivi Nazionali e la negoziazione integrativa aziendale della sanità pubblica” sono stati affrontati i temi della contrattazione collettiva per la dirigenza e per la medicina specialistica, oltre alle modifiche statutarie del Sindacato.
La tre giorni si è aperta con la relazione del Segretario nazionale Aldo Grasselli che ha voluto richiamare le parole che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha pronunciato in occasione del 1° Maggio Festa del Lavoro e Festa dei Lavoratori:
“Nella storia repubblicana dal confronto tra istituzioni e parti sociali sono giunte spinte importanti per il progresso, per la definizione e la diffusione dei diritti, per l’ammodernamento delle stesse imprese.
I corpi intermedi sono un elemento caratterizzante del disegno della nostra Costituzione e recano beneficio all’Italia.
Il movimento sindacale – portatore di valori democratici – è interlocutore insopprimibile per lo sviluppo di una fruttuosa contrattazione collettiva, di settore e aziendale”.
Non si può fare un buon sindacalismo senza conoscere gli scenari più ampi delle dinamiche sociali, economiche e politiche, da qui parte l’analisi Grasselli. Quindi la relazione non si è limitata al tema dei contratti e delle convenzioni ma si è allargata agli scenari da monitorare per quanto riguarda le risorse per la sanità pubblica, ai percorsi formativi e di carriera, al tema preoccupante delle pensioni, alla necessità di azioni preventive che vedano la sanità pubblica veterinaria come elemento strategico della salute collettiva.
Gli ambienti di vita e lavoro, i cibi, gli animali e le famiglie sono sempre meno protetti dall’indebolimento di una sanità pubblica che, invece, dovrebbe essere orientata a una prevenzione primaria concreta, dinamica, non burocratica per la tutela della salute. Il mainstream oggi è la One Health, ma dal dirla al farla ci passa un cambio di paradigmi.
Il Segretario Nazionale SIVeMP ha tracciato un quadro dettagliato della crisi generale del Servizio Sanitario Nazionale denunciandone lo scivolamento lungo un piano inclinato che dura da anni e che accelera progressivamente verso il fallimento, generando disuguaglianze ed esclusione dal diritto alla cura per milioni di Italiani. Un tradimento dei principi fondanti di solidarietà e universalismo della nostra Costituzione.
I governi nazionali e regionali che si sono succeduti si sono ben guardati dal mettere a fuoco le cause della crisi e dall’affrontarle radicalmente; hanno piuttosto aggravato la situazione puntando su continui tagli di spesa.
L’aziendalismo in sanità ci ha illusi che bastava razionalizzare la spesa, ma di razionamento in razionamento non ha saputo nemmeno provvedere alla materia prima necessaria all’azienda: il suo personale, il fattore principale del SSN.
Le aziende sanitarie in mano ai manager hanno speso milioni di euro per ricorrere al privato (e ai gettonisti) e alle prestazioni professionali contabilizzate come beni e servizi con una mano, mentre con l’altra mano si continuavano a razionare le assunzioni e i LEA.
Per trovare risorse equivalenti a quelle destinate alla sanità negli altri paesi UE basterebbe leggere le dichiarazioni dei redditi degli Italiani del 2022 (dati Mef) e agire di conseguenza: il 60% degli abitanti sembra vivere con meno di 1000 € lordi al mese a fronte di una spesa sanitaria nazionale che nel 2021 è stata pari a circa 127 miliardi per un pro-capite di 2.144 euro.
I contribuenti italiani con redditi superiori a 35mila euro sono invece il 13,94% del totale e versano il 62,52% delle imposte dei redditi, che sono redditi in prevalenza da lavoro dipendente o pensione.
Il welfare (sanità pubblica, assistenza sociale, pensioni, cassa integrazione, sostegno alla disabilità e alla non autosufficienza) è sostenuto essenzialmente dalle tasse che pagano i lavoratori dipendenti e i pensionati. Se qualcuno in Italia vuole ringraziare per aver ricevuto cure gratis, ringrazi chi lavora nel SSN per l’abnegazione e chi paga le tasse correttamente.
Le risorse in Italia non mancano, occorre una generale fedeltà fiscale per ridare forza al SSN in modo che possa soddisfare i bisogni di ogni cittadino.
Nel mondo politico e nei decisori che amministrano la sanità non si è ancora capito che va valorizzato e incentivato il personale sanitario a rimanere nel sistema attraverso misure, non solo strettamente economiche, di natura motivazionale e di qualità del tempo di lavoro e della combinazione del tempo di vita con il tempo di lavoro.
Un lavoro che non è più una missione ma è diventato un calvario, e lo dimostra il livello che hanno raggiunto le aggressioni ai danni dei sanitari.
E’ ovviamente urgente aprire la nuova fase contrattuale del triennio 2022-2024, e ancora una volta avanziamo con convinzione la proposta al Governo a trovare risorse extra contrattuali per fidelizzare il personale del SSN finanziando l’Indennità di specificità medica e sanitaria in modo durevole al fine di riconoscere che la specificità delle professioni sanitarie è un valore fondante del SSN cui non si vuole rinunciare.
Grasselli ha poi sottolineato che “mantenere sani i sani”, sia che significhi proteggere i lavoratori che rischiano vita e salute, salvare il nostro ambiente da chi lo inquina, garantire i cibi che mangiamo da frodi o contaminazioni, prevenire le malattie infettive e lo spillover da animali a uomo, combattere seriamente l’antimicrobicoresistenza e gli altri pericoli incombenti sulla Salute Unica, farebbe risparmiare enormi risorse in termini sociali e di cura.
La pandemia avrebbe dovuto insegnarci che prevenire è più conveniente che rincorrere i virus. Per fare prevenzione efficace, però, occorrono strategie, modelli organizzativi, risorse, motivazione e ricerca.
Eppure le crisi determinate dalle malattie infettive non mancano, in campo veterinario siamo nel pieno di una epidemia di Peste Suina Africana (PSA) che sta mettendo in serio pericolo un comparto economico dal valore di decine di miliardi di euro, gli USA hanno da poco bloccato i nostri prodotti di salumeria.
Abbiamo imparato con il COVID19, ma sembra che non lo ricordiamo quando serve, che le malattie infettive non hanno confini regionali, che la tempestività e il rigore sono essenziali per contenere la diffusione delle infezioni, sappiamo che occorrono subito risorse massicce che faranno risparmiare i costi molto maggiori nel medio e lungo periodo se l’infezione dilaga.
Istituire commissariati (PSA e Brucellosi) e strutture improvvisate senza che vengano potenziati i servizi veterinari necessari sul territorio e senza mettere in campo risorse nuove non porterà lontano se non per sollevare i Governi e le Regioni dalle loro responsabilità storiche.
Ciò che si stenta a capire, ha concluso Grasselli, è che se non saremo ascoltati, se non ci saranno soluzioni alla crisi generale della sanità pubblica, chi ne pagherà le conseguenze saranno soprattutto i cittadini più fragili e i più deboli economicamente.
Se, al netto dei proclami, la sanità pubblica veterinaria continuerà ad essere l’ultimo dei pensieri di politica sanitaria e si continuerà a sottovalutarne la valenza protettiva sulle filiere agro-zootecnico-alimentari, il governo, le regioni e gli imprenditori dovranno prendere atto di disastrose perdite di fiducia sul Made in Italy e di sbocchi sui mercati internazionali.
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Nelle foto alcuni momenti dell’apertura del Congresso. Sotto una parte della delegazione del Veneto prende posto in sala