Il cantiere. L’effetto deroghe alla legge Fornero da tempo sotto la lente della Ragioneria. Dal 2019 oltre 435mila pensionamenti con Quota 100. Nel 2023 circa 23mila assegni con 62 anni e 41 di contributi
Sono da tempo sotto la lente di Bruxelles, così come dei tecnici della Ragioneria generale dello Stato, perché hanno favorito, e continuano a farlo, la crescita della spesa pensionistica. Che in soli sei anni, tra il 2019 e il 2024 è lievitata di quasi 70 miliardi. E anche per questo motivo il loro cammino, già molto più lento rispetto a qualche anno fa, potrebbe esaurirsi completamente a fine anno. Il destino delle Quote pensionistiche in formato classico, ovvero nel mix di età anagrafica e anzianità contributiva, appare quasi segnato. E la Quota 103 nella nuova versione, con l’aggancio al metodo contributivo e il tetto all’importo dell’assegno, introdotta dal governo Meloni con l’ultima legge di bilancio per consentire anche nel 2024 l’uscita anticipata con almeno 62 anni e 41 di versamenti, seppure in versione penalizzata, potrebbe anche essere l’ultima della serie inaugurata dall’esecutivo gialloverde “Conte 1” con Quota 100. Che, sulla base dei dati a disposizione delle strutture tecniche dell’esecutivo, tra l’inizio del 2019 e la fine del 2023 ha consentito l’accesso al trattamento anticipato a oltre 435mila lavoratori. A questo esodo ha fatto seguito una brusca frenata imposta prima dal governo Draghi con Quota 102 (64 anni e 38 di versamenti) e poi con la versione originaria di Quota 103 senza vincoli (62 anni e 41 di contributi) fatta scattare lo scorso anno dalla prima manovra targata Meloni-Giorgetti: tra il 2022 e il 2023 a uscire attraverso questi due canali sono stati poco più di 36mila lavoratori. Con una preferenza per Quota 103, con oltre 23mila uscite nel solo 2023, rispetto a Quota 102: meno di 13mila pensionamenti in due anni.
A confermare di fatto indirettamente il calare dell’appeal degli strumenti per l’uscita prima della soglia di vecchiaia sono gli ultimi dati dell’Osservatorio Inps sui flussi di pensionamento, dai quali emerge che le pensioni anticipate erogate dall’Istituto con decorrenza 2022 sono state oltre 260.400, mentre quelle con decorrenza 2023 sono scese a 227.639. Malgrado questo rallentamento, l’effetto Quote, insieme a costi per l’indicizzazione dei trattamenti all’inflazione, continua a farsi sentire sull’andamento della spesa previdenziale. Nel Def “light” presentato ad aprile dal governo si afferma che fino a tutto il 2023 a trainare le uscite per il welfare sono state soprattutto le misure «dirette ad anticipare il pensionamento rispetto ai requisiti ordinari» (ovvero le “Quote”, a partire da Quota 100), quelle per il contrasto alla povertà (come il Reddito di cittadinanza) e gli interventi di sostegno alla famiglia. Non solo: la Ragioneria generale, nel focus sulla previdenza inserito nel Def, oltre a mettere nel mirino le ripetute «deroghe» alla legge Fornero, ripete che dal 2029 in avanti, il peso della spesa sul Pil tenderà ad accentuarsi significativamente con un picco del 17% nel 2040.
Di fronte a questi freddi numeri per la maggioranza di centrodestra sarà complicato immaginare di spingere su palazzo Chigi e sul Mef per ottenere misure “espansive” sulle pensioni. Anche se, in ogni caso, dovrà essere presa una decisione sul dopo Quota 103, che, sulla base delle regole in vigore, dovrebbe fermarsi il 31 dicembre di quest’anno. In autunno, al momento della definizione prossima manovra che si annuncia con spazi di finanza pubblica assai ristretti, il governo potrebbe trovarsi davanti a un bivio: prorogare ancora per un anno la stessa Quota 103 in versione penalizzata oppure, come chiede con forza la Lega, aprire la strada a Quota 41 (uscita con 41 anni di contribuzione senza soglia anagrafica) ma con una fisionomia totalmente contributiva. E il sottosegretario leghista al Lavoro, Claudio Durigon, anche recentemente ha detto che proprio quest’ultima è la strada che l’esecutivo starebbe imboccando. Anche in versione contributiva Quota 41 non sarebbe però una misura a costo zero. Ecco allora che questo intervento, se dovesse passare, potrebbe essere accompagnato, anche per recuperare risorse, da una nuova stretta sull’indicizzazione degli assegni pensionistici più elevati.