In arrivo il decreto Schillaci, pronti gli ispettori di Agenas. I camici bianchi: «Inutile punirci»
Stretta del governo sulle liste d’attesa. Nel sottolineare che «il 20% delle prescrizioni è inappropriato» il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha annunciato un decreto finalizzato ad arginare le troppe ricette emesse da medici di famiglia e specialisti (nel Veneto 29 milioni nel 2022, solo 16 evasi), «gonfiate» da prestazioni spesso non necessarie. Fonte di uno spreco che costa fino a 10 miliardi di euro l’anno, sono spesso indotte dalla medicina difensiva, ovvero la scelta del camice bianco di cedere alle pressioni dell’assistito per evitare denunce o di perderlo. Il nuovo decreto imporrà ai medici di indicare sulla ricetta il dubbio diagnostico legato alla prestazione, scrivendo oltre alla priorità il codice internazionale ICD9, che traccia gli accertamenti prescritti. In base al numero di utenti di ogni dottore si calcoleranno le ricette attese e nel caso di sforamento del tetto si accenderà una spia rossa, che consentirà a ogni Regione di richiamare il singolo medico.
Rischio sanzioni
A fare da controllore sarà Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali che, attraverso il tracciato delle tessere sanitarie dei cittadini, vedrà quanti esami sono stati prescritti con ciascun codice di priorità e procederà con un controllo a campione. Grazie a specifici motori di ricerca e al codice ICD9, l’agenzia scoverà gli iperprescrittori e lancerà l’alert alla Regione di appartenenza. Ma per consentire l’adeguato monitoraggio delle liste d’attesa anche i governatori devono fare la loro parte, istituendo il Cup regionale, al quale Agenas potrà collegarsi per supervisionare il flusso delle prestazioni. Altre novità: dovranno essere eliminati i galleggiamenti, cioè il limbo in cui l’utente aspetta la data dell’appuntamento al momento non disponibile, e verrà avviato da Agenas il controllo delle agende dei Cup. Se inadempienti, i direttori generali delle Usl rischiano sanzioni fino alla decadenza dall’incarico e la visita degli ispettori dell’Agenzia stessa.
Una scaletta che però non convince i diretti interessati. «I provvedimenti calati dall’alto non risolvono i problemi, sono fuori dalla realtà — avverte Salvatore Cauchi dello Smi di Treviso (medici di famiglia) —. Noi lavoriamo sempre in scienza e coscienza, il ministero affronti il nodo della medicina difensiva, per esempio obbligando l’utente che chiede all’Usl il cambio di medico a spiegarne le ragioni. Poi, per limitare gli accessi inutili in ambulatorio, la Regione accolga la nostra proposta di far pagare un euro a visita, cifra simbolica ma utile a lanciare un messaggio: venite se avete bisogno. La gente va educata, non possiamo sempre essere puniti noi. Infine non dimentichiamo la caterva di ricette bianche degli specialisti che dobbiamo trasformare in rosse per consentire al paziente di pagare solo il ticket: che facciamo, ci rifiutiamo?». Propone soluzioni organizzative Maurizio Cancian, past president della Simg (Società italiana di medicina generale): «Se tutti i medici di famiglia potessero contare su personale amministrativo e infermieristico per smaltire la burocrazia e gli interventi minori e su strumenti utili a diventare più precisi nella diagnosi, prescriverebbero meno accertamenti specialistici. Se fossimo messi nelle condizioni di fare l’elettrocardiogramma, alcuni esami di base di laboratorio e l’ecografia, risponderemmo direttamente a molte domande dei malati e ci occuperemmo di tanti controlli dei cronici. Nel Veneto comunque le Usl sono già dotate di un software che registra le prescrizioni e ne valuta l’appropriatezza — aggiunge Cancian — e se rileva anomalie, le segnala. Attenzione però a non attribuire colpe senza considerare i bisogni dei pazienti. Dobbiamo dare loro ciò che serve, se si introduce un metodo solo punitivo ne va della qualità dell’assistenza».
Il tetto di spesa
La categoria precisa inoltre che molte prescrizioni sono frutto del confronto con gli specialisti. «Come si fa a dire che una ricetta è inappropriata? — si chiede Luca Barutta, segretario regionale di Anaao Assomed (medici ospedalieri) — Possiamo avere visioni diverse. Il vero problema è l’aumento del 15% della richiesta di prestazioni, legato anche all’invecchiamento della popolazione. Il decreto Schillaci temo sia propaganda politica, utile solo a inasprire il rapporto medico-paziente. E intanto l’offerta diminuisce per la carenza di camici bianchi, dovuta pure alla grande pressione subita dalle aziende sanitarie, che li induce a passare al privato o a scappare all’estero. Non è mettendo qualcuno a fare il controllore che si cancellano le liste d’attesa, bisogna tagliare il tetto di spesa sul personale sanitario, fermo al costo del 2004 meno l’1,4% (misura giudicata antieconomica dal Mef ma ipotizzata nel decreto, ndr)».
Corriere Veneto