Con le recenti modifiche apportate alla disciplina dei congedi parentali, ora sono molte le variabili che ne determinano il giusto riconoscimento (si veda anche il Sole 24 Ore del 19 aprile). Il quadro generale che si presenta agli occhi degli addetti ai lavori appare composito e include la conoscenza di una serie di notizie che spesso riguardano anche l’altro genitore (lavoratore); informazioni che il datore di lavoro deve conoscere.
In primo luogo è necessario sapere quando è terminato il congedo di maternità obbligatorio, al fine di determinare quanti mesi possono essere concessi con la maggiorazione dell’indennità (80% o 60%). In costanza di rapporto, il datore di lavoro conosce la situazione; in caso di nuove assunzioni, la circostanza dovrà invece essere comunicata all’azienda. Il punto è che le maggiorazioni sopra indicate sono influenzate anche dal momento in cui è terminato il congedo obbligatorio di paternità. Quindi, se si esclude il caso in cui la stessa azienda occupa sia il marito che la moglie, si tratta di un altro elemento da far dichiarare ai dipendenti. Sempre con riferimento all’altro genitore, è necessario sapere se quest’ultimo è un lavoratore dipendente e se ha usufruito di congedi parentali nonché, in caso positivo, la dinamica di fruizione degli stessi.
Si tratta di elementi sostanziali che servono per individuare il trattamento dei congedi parentali. Infatti, il periodo di godimento del congedo varia in funzione di chi lo richiede. Quando i genitori lavorano entrambi la madre può ottenere 6 mesi (se li chiede solo lei); se è solamente il padre ad accedere, i mesi diventano 7; entrambi, possono fruirne per 10 mesi, che diventano 11 se il padre ne prende almeno 3 continuativi. Diverso è il caso in cui il lavoratore sia solo: in tale circostanza i mesi sono 11. Va comunque tenuto presente che l’altro genitore si considera mancante quando muore; se è invalido e la sua inabilità è considerata grave; nei casi di abbandono del nucleo familiare e quando è stato disposto l’affidamento esclusivo della prole.
Come già accennato, l’intensità del congedo varia in funzione del momento in cui è terminato quello di maternità o di paternità. Se ciò è avvenuto entro la fine del 2022, il periodo di spettanza è di 9 mesi, indennizzato al 30%, concedibile sino a 12 anni di età del figlio. I permessi vanno ripartiti tra i due genitori: ognuno può prenderne 3 mesi mentre gli altri 3 sono alternativi tra loro. Esiste la possibilità di estendere l’indennizzo a 10 o 11 mesi, previa verifica del reddito che non deve superare l’ammontare del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria moltiplicato per 2,5.
Nell’ipotesi in cui il congedo di maternità o di paternità sia finito dopo il 31 dicembre 2022, ma non oltre la fine del 2023, ferma restando la durata, il primo mese è indennizzato all’80% e può essere goduto sino al compimento dei 6 anni di età del bimbo. Regole diverse nell’ipotesi in cui il congedo obbligatorio di maternità e paternità sia terminato dopo il 2023. In tal caso l’elevazione dell’indennità a carico dell’Istituto spetta anche per il secondo mese, ma in misura pari al 60 per cento. Solo per l’anno in corso si prevede che entrambi i mesi (1° e 2°) siano indennizzati paritariamente all’80 per cento.
Le variabili da verificare non sono poche e il datore di lavoro deve accertare le condizioni. Per questo motivo molte aziende stanno consegnando il fac-simile di una dichiarazione che il richiedente i congedi deve compilare e sottoscrivere. Nel modulo di domanda telematica da inoltrare all’Inps a cura dell’interessato, si chiede, tra l’altro, di indicare i dati anagrafici e la situazione lavorativa dell’altro genitore. Forse, con uno sforzo ulteriore, si potrebbe pensare di modificare il form dell’istanza telematica e prevedere che l’istante fornisca tutte le informazioni occorrenti per identificare il congedo che il datore deve riconoscere. In tal modo l’azienda, entrando in possesso della copia della domanda, avrebbe le notizie di cui necessita per il corretto riconoscimento del congedo stesso. Ciò eviterebbe al datore di lavoro di incorrere in possibili errori, la cui regolarizzazione potrebbe determinare la necessità di rettificare i flussi telematici già inoltrati all’istituto di previdenza.
Il Sole 24 Ore