Nella continua attenzione mediatica cui è sottoposto il Pronto Soccorso italiano è importante evitare che i dati suscitino interpretazioni frettolose. Larecente comunicazione dei 4 milioni di accessi inappropriati all’anno al Pronto soccorso, così come li definisce Agenas , rischia di generare un grave malinteso nel momento in cui gli accessi a bassa criticità vengono identificati come la principale causa del continuo affanno nel quale vive il nostro Ps.
È necessario correggere questa errata percezione, richiamando invece l’attenzione su quelli che sono i veri macigni che ostacolano la realizzazione di un grande e cruciale progetto, la garanzia delle cure efficaci in emergenza urgenza, pietra di volta del più ampio progetto di un Ssn che tuteli la salute del cittadino.
La Società scientifica è portavoce dei professionisti che nelle strutture dell’Emergenza Urgenza operano da sempre e quotidianamente vivono una realtà fattuale ben lontana dal racconto mediatico di questi giorni: sappiamo bene che – se anche domattina si azzerassero gli accessi a bassa criticità i problemi del Pronto soccorso – non verrebbero risolti se non in una minima porzione.
Deve essere chiaro che i veri, mastodontici problemi del Pronto soccorso italiano sono la carenza di personale specialista e la difficoltà di assicurare un posto letto a pazienti che necessitano di essere ricoverati, gestendo la loro permanenza in Ps per tempi scandalosamente indefiniti calcolabili in giorni interi (il cosiddetto “boarding”). E il primo problema, la carenza di personale, è in gran parte l’effetto della seconda condizione, ovvero del boarding, che è la causa principale di stress lavorativo, conflittualità, disagio psico-fisico, tutti elementi alla base della fuga dei professionisti.
La necessità che la Medicina del territorio agisca da filtro rispetto all’accesso indiscriminato al Pronto soccorso è fuori discussione: tuttavia gli investimenti di cospicue risorse storicamente riversate sul territorio non hanno mai prodotto, negli ultimi trent’anni, neppure un piccolo miglioramento per il Pronto soccorso. E il miglioramento del Ps, vale la pena ricordarlo, corrisponde al vantaggio dei cittadini.
È il rischio che corriamo anche oggi: concordiamo sulla necessità di dare un significato concreto e operativo a quanto previsto dal Pnrr – nessuno più di noi ha il polso della bruciante necessità di una Medicina del territorio presente, prossima ed efficace – ma denunciamo una visione parziale della grande questione sanitaria di questo Paese, che ignora sistematicamente l’insufficienza dell’offerta ospedaliera e degenziale in termini quantitativi e qualitativi.
L’urgenza di disporre di dati affidabili. Da tempo attendiamo dati affidabili che quantifichino oggettivamente il fenomeno del boarding nella sua cruda drammaticità, che supera la dimensione freddamente amministrativa per divenire questione clinica (quale rischio aggiuntivo per ogni notte di permanenza in Pronto soccorso?) ma anche civile ed etica. Come società scientifica vorremmo disporre di dati che, superando la fuorviante genericità espressa da medie globali di scarso significato e numeri di accessi divisi per codice di triage, esprimano invece la realtà fattuale attraverso la declinazione per età, patologie predominanti, comorbidità, prestazioni erogate, diagnosi finali e destinazione di ricovero: la semplice separazione dei tempi d’attesa per i ricoveri in Medicina dagli altri tempi d’attesa produrrebbe dati imbarazzanti, che ben rappresenterebbero la progressiva diminuzione di efficienza del Ssn negli ultimi anni (probabilmente anche più dei ben noti dati sulle liste d’attesa!) e che focalizzerebbero il problema della cura della fragilità e della cronicità riacutizzata, le vere vittime dell’attuale situazione.
La questione che poniamo, tuttavia, è di fatto assente dalle iniziative istituzionali: l’enormità del problema richiede soluzioni competenti, programmatiche e coraggiose che, coinvolgendo tutte le categorie professionali, prendano le mosse dal concetto di “servizio” e affrontino il problema con un approccio globale e prospettico, superando la dimensione degli interventi puntiformi ed emergenziali.
Ma restando alla questione dei cosiddetti accessi “inappropriati” è necessario discutere su dati solidi, impossibili da ottenere se non partendo da una corretta definizione di “inappropriatezza”: inappropriati rispetto a quale criterio? Al mandato della Medicina d’Emergenza Urgenza? Certamente vero, ma allora perché non si definisce inappropriato il boarding, quello sì davvero inappropriato in un Pronto soccorso, oltre che clinicamente dannoso per i pazienti?
Accesso inappropriato a chi? Agenas definisce inappropriato un accesso con codice bianco o verde non conseguente a un trauma e che non esita in un ricovero ospedaliero: definizione che cela un errore metodologico in quanto confonde insieme una considerazione “ex ante” (il codice di priorità al triage) con una “ex post”, ovvero l’esito di quell’accesso, che è il risultato quanto meno di una valutazione clinica. Secondo quella definizione tutti gli accessi che non generino ricoveri sono egualmente inappropriati, inclusi quelli gestiti in modalità “fast track” (l’accesso diretto ad alcuni specialisti, che non grava sul Pronto soccorso generale) e quelli che invece impegnano il Pronto soccorso in attività cliniche e socio-assistenziali per tempi ben superiori a quelli attesi: Simeu ha quantificato in 800.000 i casi che nel 2022 sono stati gestiti in Pronto soccorso per non meno di 72 ore e che non hanno comunque generato un ricovero ospedaliero.
Constatiamo che dalla discussione sugli accessi inappropriati manca un elemento indispensabile, ovvero l’indicazione di quale sia invece il contesto appropriato per le domande di salute che causano quegli accessi, alle quali deve essere offerta un’alternativa concreta.
Restare intrappolati in astratte questioni metodologiche impedisce di affrontare nel concreto il problema: se identificassimo l’inappropriatezza degli accessi sulla base di parametri “ex ante”, concordati con i clinici, senza condizionare il giudizio al risultato della valutazione eseguita nello stesso Pronto soccorso (un insolubile circolo vizioso!) potremmo facilmente determinare la quota di accessi inappropriati che congestiona le strutture e di conseguenza, sin dalla valutazione al triage, indirizzare le istanze improprie verso le sedi più appropriate.
Non stiamo minimizzando il problema dell’inappropriatezza, che preferiamo chiamare più correttamente “non urgenza”, che è enorme e vede la società scientifica impegnata alla ricerca di soluzioni: vogliamo però affermare con forza che in questo momento storico tale problema è secondario rispetto alle altre questioni capitali che abbiamo già indicato.
Seguiamo con interesse e spirito di collaborazione le esperienze messe in campo da varie Regioni nell’intento di dare risposte al problema della “non urgenza”: il contributo della società scientifica consiste in un’analisi approfondita e competente dei dati, se disponibili, che ad oggi appaiono preliminari e troppo eterogenei per consentire una valutazione d’efficacia delle soluzioni proposte. Attendiamo dati ulteriori e vigiliamo, nel timore che l’aumento dell’offerta, se condotto senza un adeguato governo, produca ancora una volta un incremento delle prestazioni non urgenti senza alcun decongestionamento reale del Pronto soccorso, come già in passato.
Le scarse risorse a disposizione impongono una gestione sempre più attenta: il punto di vista che deve guidare i provvedimenti è la tutela della salute del cittadino e non, come rischia di accadere, un’affannosa rincorsa al cieco incremento delle prestazioni.
* Fabio De Iaco (Torino) – Presidente
* Beniamino Susi (Civitavecchia) – Vicepresidente
* Antonio Voza (Milano) – Segretario
* Andrea Fabbri (Forlì) – Tesoriere
* Salvatore Manca (Oristano) – Past-president