L’ultimo caso è l’affidamento ai privati del Pronto Soccorso dell’ospedale di Tortona, in Piemonte. Per la prima volta un’associazione temporanea di imprese (Ati) ha vinto un bando da 50 milioni di euro e fornirà per 9 anni l’intero personale medico. Ma ci sono esempi di esperimenti privati anche in Lombardia e Veneto. A Mestrino, in provincia di Padova, la B-Med Medica Group ha lanciato il servizio di medico di base a pagamento (Family Doc). Con 50 euro a visita si tagliano i tempi di attesa di un normale medico di famiglia, si ottengono prescrizioni e un accesso rapido alle visite specialistiche.
All’interno delle strutture sanitarie del Gruppo San Donato, accreditate da Regione Lombardia, è invece partita da qualche tempo la sperimentazione degli ambulatori ad accesso diretto Book & Go: i costi del servizio variano da 149 a 190 euro e sono una sorta di “salta fila” per evitare l’affollamento dei normali Pronto Soccorso. A cui vanno aggiunti i costi relativi ad eventuali esami diagnostici e strumentali stabiliti dallo specialista a seguito della visita.
«Il sistema dei medici di base è in crisi da anni, i presidi di guardia medica sono ormai depotenziati e così la gente, non trovando risposte nel primo livello di intervento territoriale, purtroppo va a intasare i Pronto Soccorso dove i codici bianchi e verdi (spesso non solo) aspettano ore», riassume Stefano Magnone, segretario regionale lombardo dei medici Anaao.
La crescita della spesa privata
Il punto di rottura del Servizio sanitario nazionale (Ssn) è stato sicuramente la pandemia, che ha condensato vecchi problemi facendoli esplodere: liste di attesa infinite, mancanza di medici, di ospedali e di posti letto, concorsi deserti, specializzazioni senza iscritti, Pronto Soccorsi intasati, migrazione sanitaria e progressivo definanziamento pubblico. I privati lo hanno capito e provano a drenare una quota di pazienti “parcheggiati”, convogliandoli nel proprio sistema di cure. Anche se, a differenza del Ssn, ti curano solo se paghi.
Il risultato è che la contribuzione alla spesa sanitaria da parte dei privati cittadini (la cosiddetta spesa out of pocket) è in crescita esponenziale (nel 2022 ha raggiunto la cifra record di 41,5 miliardi di euro, pari al 21,4% di quella totale) e oggi vale più del doppio rispetto a quella di Francia (8,9%) e Germania (11%).
Il tema centrale, in fondo, è chi mette i soldi? «Perché dal 2009 lo stato non destina un euro in più al fondo sanitario nazionale, al netto della inflazione. Se confrontiamo l’Italia con gli altri paesi Ue abbiamo un gap di 2-3 punti percentuali di Pil», ragiona Luca Foresti, per alcuni anni Ceo del Centro Medico Santagostino di Milano. La spesa sanitaria privata, invece, “respira” con i redditi delle famiglie. Se non crescono, la sanità a pagamento resta appannaggio di chi può permetterselo. L’alternativa è indebitarsi per curarsi (nel 2023, secondo le stime del portale Facile.it, sono stati erogati prestiti a scopo sanitario per un miliardo di euro), oppure non curarsi del tutto. Come successo l’anno scorso a circa 4,5 milioni di cittadini italiani (7,6% della popolazione), costretti a rinunciare a visite mediche o accertamenti diagnostici per problemi economici, di lista di attesa o difficoltà di accesso.
Il boom dei poliambulatori
Il segno più evidente di questa esplosione di spesa sanitaria privata è rappresentato dall’industrializzazione dei vecchi ambulatori e dei piccoli centri analisi. Mini strutture un tempo senza capacità di scalare che, attraverso operazioni di fusione/acquisizione, stanno diventando dei veri network regionali o nazionali.
All’inizio sono partiti gli odontoiatri con la catena Vitaldent, poi acquisita nel 2021 dal colosso DentalPro che troviamo in molte cittadine italiane. Poi sono arrivati i laboratori di analisi: gruppi internazionali come Synlab o grandi player come Bianalisi hanno capito che gli esami del sangue sono quelli che garantiscono le maggiori economie di scala: più laboratori apri, più sono grandi, più sei redditizio.
Adesso, accanto ai servizi dei poli ospedalieri privati, è il tempo dell’espansione dei medi e grandi poliambulatori (Santagostino, Cerba Health Care, CDI-Centro Diagnostico Italiano, CDC-Affidea, Trust Medical, Ames Group) «che offrono ormai una gamma amplissima di prestazioni sanitarie, in pratica tutto quello per cui non c’è bisogno di un letto di ospedale», prosegue Foresti. Prelievi, analisi cliniche e di laboratorio, chirurgia ambulatoriale, visite specialistiche, diagnostica per immagini, fisioterapia riabilitativa, consulti psicologici, medicina preventiva e check up, sedute odontoiatriche, servizi domiciliari e di guardia medica. La clientela affluente continua a rivolgersi alla sanità privata, come sempre. La novità è che sul mercato si è affacciata una fascia di clientela media o medio-bassa, tipica del Ssn, costretta a rivolgersi al privato per bypassare un servizio pubblico in grave crisi.
Il tema è anche industriale. Per mantenere prezzi sostenibili per la nuova clientela, questi gruppi devono produrre economie di scala e moltiplicarsi. Non a caso, molta della crescita di questi player sta avvenendo per linee esterne. Ad esempio, il gruppo Bianalisi, controllato dal fondo Charme, solo nel 2022 ha finalizzato 20 operazioni tra cui l’acquisizione di Meditel. Cerba Health Care Italia aveva già comprato il Gruppo Basile e Lifebrain. Mentre Santagostino, acquisita da Unipol a fine 2022, si è recentemente unito ai Centri Medici Dyadea di Bologna. E la tendenza è destinata a continuare.
Programmazione, questa sconosciuta
Il caso Tortona. I family Doc. I “Pronto Soccorso” a pagamento. Il boom dei medici “gettonisti” a cui ricorre la maggior parte delle strutture ospedaliere italiane per coprire i turni scoperti nei reparti. La crescita vorticosa degli ambulatori polispecialistici. La realtà è che il privato sta occupando via via pezzi di sanità un tempo appannaggio esclusivo, o quasi, del Servizio sanitario nazionale, come denunciano Osservatori indipendenti come Fondazione Gimbe o Salutequità.
Il problema è che questa espansione disordinata di mercato, fuori dalla programmazione regionale e nazionale, finisce come in un gioco perverso per aumentare le diseguaglianze e accrescere i costi a carico delle famiglie. «Stiamo creando tanti piccoli supermarket sanitari minando alla radice la grande conquista del Ssn, che andrebbe rilanciato e finanziato adeguatamente», allarga le braccia Magnone. «La sanità, così, non può funzionare…».