Accordo segreto in maggioranza: la Lega incassa la discussione generale ma l’ok arriverà da giugno in poi. Paga il prezzo della rivolta di FI che arriva dal Sud. Incognita premierato: FdI sospetta che il Carroccio voglia annacquare la riforma
ROMA — Marcature strette, liti, minacce di boicottaggio. I partiti della maggioranza che si dividono sulle riforme alla fine trovano un compromesso segreto: l’Autonomia vedrà la luce, ma solo dopo le Europee. Lo conferma in serata una fonte qualificata della Lega: «Faremo la discussione generale, forse approveremo qualche articolo. Sì, il voto finale probabilmente slitterà». Da stabilire il futuro prossimo della legge che fa una corsa parallela, quella sul premierato. Il tutto a dispetto dei proclami.
L’ultimo fronte è la commissione Affari costituzionali della Camera. Dove si riflette l’esito dell’incontro fra i capigruppo: Lega e FdI respingono la richiesta dell’opposizione di non “strizzare” i tempi dell’Autonomia. Il presidente della commissione, Nazario Pagano, esponente di una Forza Italia che contiene a fatica la rivolta contro la legge che proviene soprattutto dal Sud, incontra il numero uno della Camera, il leghista Lorenzo Fontana. Apprende che non c’è margine di intesa: si va avanti a tappe forzate verso il 29 aprile, giorno in cui è stato messo in calendario lo sbarco in aula dell’autonomia differenziata. FI fa buon viso a cattiva sorte ma in realtà un obiettivo l’ha raggiunto. Quale?
Facciamo un passo indietro. Dopo le critiche del governatore azzurro della Calabria Roberto Occhiuto (che fanno il paio con quelle di Renato Schifani), Matteo Salvini si è infuriato e ha invitato Giorgia Meloni a intervenire: «Qui salta tutto». La premier gli ha garantito che non ci saranno rallentamenti sull’autonomia ma l’intesa è quella di svolgere prima delle Europee solo la discussione generale della legge. Forse si approverà qualche articolo. Per il sì sene parlerà da giugno in poi. Un patto segreto, appunto, già siglato. Anche se qualcuno nella Lega si chiede come si possa fare campagna elettorale sventolando non una cosa fatta ma solo una possibile approvazione a breve della legge. Però il peso di Antonio Tajani è cresciuto e il leader di FI è riuscito a far passare con Meloni questa exit strategy.
Intanto, almeno in commissione, si va avanti con il ritmo incessante della maratona: interventi limitati a dieci minuti ma l’opposizione ha moltiplicato gli iscritti a parlare. Entro stasera il via libera per l’aula. Il relatore della legge, Paolo Emilio Russo, lascia intendere che Forza Italia è contraria a fughe in avanti: «Ci siamo sempre impegnati perché si procedesse — dice — senza strappi o forzature». Più esplicito il vicepresidente della Camera Giorgio Mulé, che pochi giorni fa in Transatlantico spiegava ad ampi gesti la posizione di FI: «Autonomia? Sì, marciamo.Ma piano, piano… Non c’è fretta».
Al Senato, intanto, viene annullata la seduta dell’analoga commissione, che sta esaminando il premierato caro a Meloni. I Fratelli d’Italia salutano con soddisfazione la norma con cui sono riusciti a “blindare” il ruolo del futuro premier con un emendamento che gli consente di chiedere al presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere in caso di sfiducia. Un emendamento di notevole portata che avvicina la riforma ai desiderata di Giorgia Meloni: ilsimul stabunt simul cadent,ovvero il potere del presidente del Consiglio di trascinare alle nuove elezioni pure il Parlamento in caso di suo addio. Emendamento che ridurrebbe i poteri del Capo dello Stato. Il leghista Paolo Tosato durante la seduta è stato chiaro: «Il Quirinale ha assunto negli scorsi anni un protagonismo eccessivo e non condivisibile».Lo stesso Tosato però ha posto un pesantissimo dubbio sulla norma: con una semplice sfiducia su un provvedimento, «un incidente di percorso», per lui è «incongruo» l’obbligo di dimissioni. Tosato fa sapere che la sua è solo «un’osservazione tecnica». Ma la Lega, è il sospetto di molti nella maggioranza, vuole utilizzare questo varco per allentare la forza del premier e garantire la sopravvivenza della legislatura, con il passaggio di mano a un altro presidente non eletto. Insomma, è l’accusa, si intende favorire i giochi di Palazzo. Non solo: dopo una lunga riunione di maggioranza, il senatore di FdI Marcello Pera ha ritirato l’emendamento che istituiva la figura del portavoce di opposizione. Norma che suscitava, oltre a quelle del Pd e di 5S, le perplessità della Lega mal disposta verso un sostanziale bipolarismo che amplifica la figura del premier.