In Veneto avanza l’assistenza di primo livello privata e sembra proprio, di fatto, rilevare l’offerta di cui sono chiamate ad occuparsi le future case di comunità. Dopo i medici di famiglia non convenzionati con il Servizio sanitario, ora presenti in due località del Padovano (Cittadella e Mestrino), a Legnago, nella Bassa Veronese, fa notizia il Pronto soccorso privato. Se però nel caso dei mmg si tratta di iniziative intraprese con medici pensionati, che visitano al costo di 50/60 euro per evitare lunghe attese, un Ps ha requisiti definiti da standard ministeriali. Ce ne dovrebbe essere uno ogni 80-150.000 abitanti, gli accessi annui dovrebbero superare le 20 mila unità. In realtà, la clinica privata Domus Salutis ha dal 2016 una struttura dedicata ai codici minori, non urgenti. Ma un servizio tv ha sottolineato come sia stata riscoperta da un’utenza che accede rapidamente su appuntamento, previa telefonata, ed evita di aspettare in coda. Dai resoconti mediatici, il “Pronto soccorso” pare più simile ad una medicina generale super-organizzata (a pagamento) e supportata dall’offerta di esami di laboratorio e diagnostici: questo però avviene in una cittadina dove ospedale e Ps pubblico già ci sono – il Ps a patto di attendere fino a 7-8 ore se non si è codici verdi o bianchi. L’Ulss 9 di Verona ha contestato che il Ps di Domus Salutis non è accreditato dal SSN. In clinica sono arrivati i Nas. Fin qui non sarebbero stati rilevati problemi, spiega una nota dell’istituto. Che precisa: il Ps è un Ambulatorio medico chirurgico a Pronta disponibilità, un servizio libero professionale non collegato al servizio pubblico accreditato con la Regione. La clinica è però Struttura Extra-Ospedaliera di Chirurgia e Poliambulatori Specialistici. Ha, cioè, professionalità di spicco, chirurghi, anestesisti.
I medici di famiglia sono dei fari sul territorio, chiediamo a loro perché in Veneto cresce il bisogno di servizi privati paralleli all’offerta del SSN. «In primo luogo, ci sono carenze nella medicina generale. Ci sono posti in convenzione scoperti in tutta la provincia di Verona. Solo nel capoluogo abbiamo 9 mila pazienti senza medico di famiglia; da una conferenza stampa dell’assessore all’assistenza sociale emerge la necessità di disporre di servizi sociali e sanitari più connessi e strutturati», dice Giulio Rigon segretario Fimmg Verona. «Anche nei Ps pubblici manca personale medico. E questo pesa. Se il rapporto Agenas ci dice che in Veneto un 5-6% dei codici bianchi in realtà poi, al riscontro clinico, dopo aver atteso a lungo, ha avuto bisogno di cure urgenti (quindi codici bianchi non erano), quantomeno esistono dei problemi di gestione che da solo il triage non può risolvere».
Più spesso però la medicina privata di primo livello, ammette Rigon, «offre risposte a problemi immateriali che nessun medico può risolvere. «Un mal di schiena, un’emicrania fortissima non si vedono all’esame strumentale e molti pazienti non sono disposti ad aspettare per essere tranquillizzati. In ospedale trovano i giovani colleghi, ma in molti casi si tratta di utenti che hanno appena perso il medico di famiglia di una vita, andato in pensione, e cercano chi, secondo loro, per esperienza o competenza conosca il valore della presa in carico». Oggi la presa in carico negli studi dei mmg non si fa più? «Certo che si fa! Ma ci sono problemi oggettivi. Ad esempio, se nei grossi studi organizzati dove il medico ruota vengono sempre più assistiti a cercare il medico disponibile – non necessariamente il loro curante – per risolvere un’urgenza, anche non semplicemente burocratica, nei piccoli studi decentrati è più difficile trovare l’organizzazione per rispondere a questa nuova domanda di salute. C’è poi il nodo dei giovani colleghi che oggi appena usciti dal corso di formazione si ritrovano con 1500 pazienti, di cui statisticamente 500 cronici, e di questi fino a 200 tra grandi anziani e “frequent attenders”, persone che vengono spesso in studio. Nessuna medicina generale in passato ha affrontato l’ondata degli anziani. Servirebbe meno burocrazia, ad esempio le note Aifa dovrebbero imporre meno passaggi dallo specialista».
Fino a che punto studi organizzati e case di comunità potranno prendere in carico queste richieste, specie di chi non ha disponibilità economiche? «Le case di comunità sono candidate ideali sulla carta, ma sono pochi sia i medici di famiglia sia gli altri convenzionati, ed i servizi diagnostici sono tutti da costruire. Andrebbe, credo, rilanciata la scommessa sulla diagnostica in studio del medico di famiglia. I 235 milioni stanziati nel 2018 oggi più che mai vanno spesi e va fatta formazione perché presso il mmg vi sia un’offerta di diagnostica a sostegno della visita. Forse servirebbe anche una mentalità più imprenditoriale tra noi, dovremmo far capire innanzi tutto alle Asl che un servizio del genere offre un valore aggiunto, un valore in termini di salute ed economici che la parte pubblica dovrebbe riconoscere e che la nostra professione davvero potrebbe offrire».
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