Marco Rogari, Il Sole 24 Ore. Anche con le misure restrittive inserite nell’ultima manovra la spesa per le pensioni nel 2024 sale del 5,8% sotto la spinta dell’indicizzazione degli assegni all’inflazione, ma non solo. E nel prossimo triennio continuerà a lievitare, in media, al ritmo annuo del 2,9% andando a pesare per il 15,5% sul Pil nel 2026 e nel 2027 dopo aver toccato quota 15,6% quest’anno. Il Def “light”, in versione esclusivamente “tendenziale”, conferma che la previdenza resta un vigilato speciale e, anche in assenza del quadro programmati, sembra lasciare pochi spazi a nuovi interventi per favorire le uscite anticipate, come ad esempio “Quota 41”.
Anzi, nel Documento targato Meloni-Giorgetti, si sottolinea che nel quinquennio 2019/2023 «si è registrato un accesso al pensionamento a livelli superiori a quelli del periodo precedente la riforma di fine 2011» (la legge Fornero), perché «al fisiologico incremento degli accessi dovuto alla maturazione dei requisiti previsti e ai progressivi effetti della transizione demografica si sono sommati gli effetti derivanti da agevolazioni e ampliamenti delle possibilità di accesso al pensionamento anticipato in discontinuità rispetto al processo di riforma implementato nei decenni precedenti». Un chiaro riferimento, quest’ultimo, a quella Quota 100, fortemente voluta dalla Lega nel governo “Conte 1”, poi sostituta, con ricadute più contenute sui conti pubblici, da Quota 102 e Quota 103, quest’anno in versione “penalizzata” per l’aggancio al metodo contributivo introdotto dall’ultima legge di bilancio. Sempre nel Def, del resto, si afferma a chiare lettere che la media annua del numero delle nuove pensioni liquidate tra il 2019 e il 2023 «si è manifestata in una dimensione significativamente superiore a quella media del biennio 2017-2018» (a sua volta già superiore alla media del periodo 2012-2016) anche «per effetto delle complessive misure di agevolazione nell’accesso al pensionamento anticipato introdotte dal Dl n. 4/2019 (Quota 100, ndr), convertito dalla legge n. 26/2019, e delle relative proroghe».
Nel focus della Ragioneria generale dello Stato sulle tendenze di medio lungo periodo del sistema pensionistico, che è stato inserito nel Def, si fa notare che l’attuale livello di spesa in rapporto al Pil (15,6% ), ancora influenzato dalle significative ricadute dell’indicizzazione degli assegni, verrà sostanzialmente mantenuto fino al 2028. «Dal 2029 in avanti – ribadisce la Ragioneria – il rapporto tra spesa e Pil riprende ad aumentare fino a raggiungere il 17% nel 2040». Le uscite pensionistiche alla fine di quest’anno dovrebbero toccare i 337,4 miliardi (oltre 15 in più del 2023, quando erano crescite del 7,4%), e sono destinate a salire a 345,7 miliardi il prossimo anno e a 368,1 miliardi nel 2027.
La corsa della spesa per pensioni traina anche quella dei costi complessivi per le “prestazioni sociali in denaro” che sono stimati in crescita del 5,3% nel 2024 (circa 447 miliardi) e del 2,5% in media all’anno nel triennio 2025-27. Con questo andamento è prevista un’incidenza di queste uscite sul Pil del 20,7% quest’anno per poi scendere leggermente al 20,4% quello successivo e al 20,3% nel biennio 2026-27. La spesa per prestazioni sociali continuerà dunque a marciare a ritmo sostenuto. E nel Def si evidenza come nell’arco di tempo compreso tra il 2019 e il 2024 il tasso medio annuo delle uscite (pari a circa il 4,2%) sia risultato superiore più del doppio di quello registrato nel periodo 2010-18 (2%).