DI GIUSEPPE COLOMBO, la Repubblica
La curva del debito torna a salire. Appena sette mesi fa, il governo aveva disegnato una linea quasi retta, ma comunque leggermente in discesa. Ora invece la penna si fa nervosa e cambia direzione. Il “bubbone” esplode dentro il Def approvato ieri dal Consiglio dei ministri: nel quadro tendenziale, l’asticella del rapporto debito/Pil salirà quest’anno al 137,8%, dal 137,3% del 2023. Poi ancora su, l’anno prossimo, al 138,9%. Per ritrovare la flessione bisognerà aspettare il 2027, quando calerà di due decimali, al 139,6%, ma rispetto al picco del 139,8% del 2026.
La giustificazione è pronta: il Superbonus. La tira in ballo Giancarlo Giorgetti, quando nella conferenza stampa che segue il Cdm è costretto a rivelare il vulnus di un Documento di economia e finanza “light”, senza l’impatto delle misure perché lo scenario programmatico non c’è. “Povero”, il Def, perché non dà soldi alla manovra. «L’andamento del debito — tuona il ministro dell’Economia — è ampiamente condizionato dal riflesso dei pagamenti per cassa dei crediti del Superbonus che ha un impatto devastante ». Ad abbattersi sui conti pubblici è una valanga da 219 miliardi, il totale dei crediti relativi ai bonus edilizi oggetto di cessione e sconto in fattura da quando sono nati allo scorso 4 aprile. Solo il Superbonus è costato fino ad ora ben 160,3 miliardi. Giorgetti mette già in conto una nuova stretta perché quelle adottate fino ad oggi non hanno fermato l’emorragia. Invoca maggiori controlli: «Quello che non cessa adesso— promette — è la verifica e il controllo della bontà di questi debiti» che hanno portato ad annullare e sequestrare circa 16 miliardi. Ma il titolare del Tesoro sa anche, e lo dice, che l’eventuale riclassificazione dei crediti da parte di Eurostat, a giugno, può solo appesantire il conto: lo “scarico” sul debito è già in corso. Eccola la strategia della destra al governo: perpetuare l’alibi del Superbonus.
A Bruxelles, però, la pensano diversamente: «Si è trattato di qualcosa di limitato nel tempo», ha commentato ieri un alto funzionario europeo, aggiungendo che «ora inizierà il lavoro per mettere i conti in ordine ». Se il debito angoscia, la crescita genera un moderato ottimismo, ma solo per quest’anno: il governo decide di tagliare le stime rispetto al quadro programmatico dello scorso settembre, ma colloca comunque il Pil all’1%, un valore superiore a quello degli analisti. L’anno prossimo, invece, le forbici agiranno in modo più pesante: dall’ 1,4% della Nadef si scende all’1,2%. Poi giù, all’1,1% nel 2026. E sotto la soglia psicologica dell’1%, allo 0,9%, nel 2027. Il rapporto deficit/Pil passerà dal 4,3% di quest’anno al 3,7% del 2025, per poi calare al 3% nel 2026 e al 2,2% nel 2027. Il numero da cerchiare in rosso per la prossima Finanziaria è 3,7%: da qui il governo vuole partire per posizionareil deficit programmatico almeno al 4,1%, recuperando così 8 miliardi. Ma sull’Italia pende la procedura d’infrazione per deficit eccessivo e la correzione da inserire nel Piano fiscale di medio periodo. Spine nella trattativa con la Commissione Ue a cui Giorgetti aggiunge anche la richiesta di prorogare il Pnrr oltre la scadenza del 2026: «Io faccio il ministro dell’Economia, Gentiloni fa il commissario: mi consigliano di non insistere, io invece insisto». A meno di non fare da “garante” a Bruxelles, nel ruolo di commissario europeo. «Ho dato la disponibilità a sostituire Allegri», ironizza. Ma Roma o Bruxelles poco cambia: i guai per i conti italiani sono esplosi.