Il Sole 24 Ore. L’Istituto zooprofilattico del Mezzogiorno: più casi negli uccelli selvatici
In Europa l’influenza aviaria aveva raggiunto il picco due anni fa. «Dall’inizio di quest’anno nel nostro Paese abbiamo registrato un solo focolaio, all’interno di un allevamento di tacchini di Padova – spiega Esterina De Carlo, direttrice sanitaria dell’Istituto zooprofilattico del Mezzogiorno – nel 2023 i focolai sono stati 16 e nel 2022, l’anno del picco, erano 55. In Europa i numeri sono più alti, da dicembre 2023 ad oggi se ne sono contati 227, ma questo dipende dalle rotte degli uccelli migratori, che sono i veri vettori del virus H5N1 e tra i quali i casi sono tra l’altro in aumento».
Insomma, ci dobbiamo preoccupare? «Come consumatori no – dice la dottoressa De Carlo – perchè carni e uova cotte non possono trasmettere il virus, dato che il contagio avviene per via nasale attraverso le vie respiratorie. Ma anche negli allevamenti il rischio di un’epidemia di influenza aviaria al momento è basso e, rispetto al 2022, le misure di biosicurezza dettate dal ministero della Salute negli allevamenti sono più elevate».
In un’ottica di più lungo periodo, però, è più difficile stare tranquilli, nonostante l’Italia, e più in generale l’Europa, abbiano reti e piani di sorveglianza adeguati. «Quello che sta succedendo negli Usa – spiega il direttore Limone – ci dice che lo spillover, cioè il salto di specie dagli uccelli alle mucche e da quest’ultime all’uomo è già avvenuto. E così come è successo in America, può succedere in altre parti del mondo, magari in un continente, come l’Asia, dove c’è maggiore promiscuità tra animali e uomo in assenza di condizioni sanitarie adeguate. Il Covid avrebbe dovuto insegnarcelo: viviamo in un villaggio globale interconesso e serve una rete di sorveglianza delle epidemie altrettanto globale. E invece questa rete non c’è».