Al 137,8% quest’anno, il debito crescerà al 138,9% l’anno prossimo, con un picco del 139,8% nel 2026 IlDef. Al 137,8% quest’anno, il debito crescerà al 138,9% l’anno prossimo, con un picco del 139,8% nel 2026 Il 110% ordinario e sismico cumula 160,3 miliardi, gli altri 58,7 sono sparsi tra altre agevolazioni edilizie
Un Def limitato alla fotografia tendenziale delle dinamiche dei conti pubblici senza interventi ulteriori, come da previsioni della vigilia, perché i prossimi passi della politica economica italiana saranno dettagliati con il Piano fiscale strutturale da presentare alla Ue entro il 20 settembre in base alle nuove regole fiscali comunitarie. Ma «è nostra volontà presentarlo anche prima», ha sostenuto ieri il titolare dei conti italiani nella conferenza stampa convocata al termine del consiglio dei ministri, anche per avviare quel «pieno coinvolgimento» del Parlamento indicato come «essenziale» dallo stesso Giorgetti pochi giorni fa in audizione alla Camera.
Per partire occorrerà prima di tutto la definizione della cosiddetta «traiettoria tecnica», il binario di rientro del debito pubblico da percorrere per rispettare il Patto riformato. In ogni caso, non sarà una sfida facile. Perché anche senza manovra la linea del debito presentata ieri dal Governo ha ricominciato un percorso di crescita fino al 2026, dopo di che dovrebbe tornare a scendere.
Il confronto con le vecchie stime è solo apparentemente complicato da un effetto ottico dovuto alla revisione al rialzo del Pil comunicata il 1° marzo scorso dall’Istat. In sintesi, il debito rimane sotto al 140,1% scritto per quest’anno dalla NaDef del settembre scorso, ma la nuova percentuale, il 137,8%, si applica su una base di Pil più ampia. E segna un aumento rispetto al 137,3% con cui si è chiuso il 2023. Un altro salto di 1,1 punti, al 138,9% del Pil, è previsto per il prossimo anno, prima di arrivare al picco del 139,8% nel 2026 da cui dovrebbe iniziare una mini-discesa, al 139,6%, l’anno successivo.
Il motore del passivo è ovviamente rappresentato dalla ricaduta dei crediti d’imposta edilizi, che (nella lettura attuale di Eurostat) hanno generato deficit nell’anno di nascita ma si trasformano in debito negli anni successivi, man mano che vengono utilizzati e riducono di conseguenza le entrate fiscali facendo crescere il fabbisogno da coprire con l’emissione di titoli di Stato.
Con l’ultima tornata di comunicazioni entro il 4 aprile scorso il contatore dei bonus al mattone è schizzato nella stratosfera dei 219 miliardi indicati (si veda anche l’altro articolo in pagina) ieri dal Mef, 43 miliardi sopra i 176 noti finora. Ma il passare del tempo aggiorna anche i calcoli sui crediti annullati perché nati da frodi, saliti a 16 miliardi. «Questa operazione di verifica continuerà – ha rilanciato Giorgetti – credo sia una delle attività più importanti di accertamento fiscale che deve fare lo Stato».
Il protagonista assoluto, come dettagliato sempre ieri dal Mef (si veda l’articolo sotto), è il 110% ordinario e sismico, che cumula 160,3 miliardi, mentre gli altri 58,7 sono sparsi fra le altre agevolazioni edilizie.
Su queste basi, il deficit 2023 si attesta al 7,2% indicato poco più di un mese fa dall’Istat, per scendere al 4,3% quest’anno, al 3,7% il prossimo e al 3% nel 2026. Il disallineamento dalla NaDef è marginale, e raggiunge il decimale di Pil solo dal 2025, per effetto anche di una crescita limata al +1% quest’anno e al +1,2% il prossimo (per il 2026 e 2027 la previsione è a +1,1% e +0,9%). Sull’orizzonte del deficit continua a pesare l’incognita di una possibile revisione dei criteri di contabilizzazione Eurostat, che dipenderà soprattutto dalla quota dei crediti incagliati.
«Sono un giocatore in attesa che la Var decida definitivamente se è rigore o no», ha detto il ministro dell’Economia riferendosi a un possibile ripensamento che classificando come «non pagabili» una parte dei crediti abbasserebbe il deficit passato alzando però quello presente e futuro; senza però incidere in alcun modo sulla linea del debito. Che è già tracciata. E sale.