Dopo la pandemia di Covid-19, che per un lungo lasso di tempo ha ‘annullato’ tutti gli altri i virus, questo sembra essere il tempo delle zoonosi. Dopo la Dengue, ora è la volta dell‘influenza aviaria. Un’insidia di cui ci siamo occupati più volte. Ma qual è la novità?
L’allarme arriva dagli Stati Uniti, dove il dipartimento dell’agricoltura (Usda) ha confermato che l’H5N1 ha fatto il salto di specie ed è passata alle mucche da latte, infettando gli esemplari in alcuni allevamenti in Texas e Kansas. Non solo, il virus ha infettato anche una persona che aveva avuto contatti con gli animali contagiati (il secondo caso di questo tipo negli States, il primo c’era stato nel 2o22).
Ebbene, l’influenza aviaria non è nuova a questi ‘salti’ (in precedenza ha infettato una capra, ma anche visoni e leoni marini). E l’ultimo report congiunto dell’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e della European Food Safety Authority (Efsa) non lascia ben sperare. “Se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala“, hanno infatti affermato gli esperti. Ma cosa sta succedendo, e quanto dobbiamo preoccuparci?
Il parere dell’esperto
“Il virus dell’influenza aviaria è sempre circolato fra i volatili, poi c’è stato diverse volte in passato il passaggio nei mammiferi”, spiega a Fortune Italia Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia del Campus Bio-Medico di Roma, che ha studiato il virus e che ha in pubblicazione altri studi sul patogeno.
“Ad oggi il rischio di infezione per la popolazione umana è basso. Ma il problema è che questo virus inizia a circolare fra i mammiferi in maniera importante. Ciò significa che ogni volta che infetta, produce mutazioni o riassortimenti virali e questo può diventare un problema: nulla vieta che una mutazione o un riassortimento renda possibile la trasmissione dell’influenza aviaria da uomo a uomo”.
Il monito di Efsa ed Ecdc
Proprio questo è il punto messo in luce dagli esperti europei: l’intensa diffusione del virus (che evolve continuamente) potrebbe favorire la selezione di “nuovi ceppi portatori di potenziali mutazioni per l’adattamento nei mammiferi”.
“A oggi, il virus A/H5N1 del clade 2.3.4.4b attualmente circolante ha causato solo pochi casi di infezione umana – si legge nel report – Tuttavia, l’elevato numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali aumenta la probabilità del riassortimento virale o dell’acquisizione di mutazioni che potrebbero migliorare la capacità dei nuovi virus influenzali emergenti di infettare, replicarsi e trasmettersi in modo efficiente a e tra i mammiferi”.
A che punto siamo
Secondo il rapporto europeo, al momento il rischio di infezione da H5N1 per la popolazione generale è basso, nonostante l’elevato numero di infezioni nei volatili e la trasmissione in diverse specie di mammiferi (mucche incluse). È invece “da basso a moderato per coloro che sono esposti professionalmente o in altro modo ad animali infetti da influenza aviaria”.
Le priorità
Come ricorda Ciccozzi “il passaggio da mammifero a uomo c’è già stato in alcuni casi. Ma non si è mai verificata, nemmeno in passato, la trasmissione interumana”. Ma allora cosa dobbiamo fare? “La risposta, in termini di One Health, è chiara: dobbiamo alzare il livello di guardia negli allevamenti intensivi. Insomma, dobbiamo ostacolare in ogni modo la diffusione del virus tra gli animali. Perchè il patogeno non deve più circolare in maniera importante tra mammifero e mammifero”.
Negli allevamenti la sicurezza dovrebbe essere rafforzata, occorre rispettare misure igieniche e rafforzare la sorveglianza. L’obiettivo infatti, continua l’epidemiologo, è ostacolare le mutazioni che predispongono al passaggio interumano. “Non dimentichiamo che il tasso di letalità dell’influenza aviaria è sempre stato elevato, oltre il 30%. Ecco perchè dico che siamo in tempo per fare prevenzione e sorveglianza“, conclude Ciccozzi.