Quel geniale creatore di aforismi che era Goethe, nel suo Massime e Riflessioni, aveva annotato che “Quando dalla gente si pretendono doveri e non le si vogliono riconoscere diritti, bisogna pagarla bene”. Frase che andrebbe scolpita in pietra negli uffici governativi, dove di doveri ai dipendenti pubblici se ne chiedono tanti, ma a buon mercato e di diritti se ne riconoscono pochi, come nel caso del Tfs, il cui pagamento in tempi che restino nei limiti della decenza è stato per l’ennesima volta bloccato dal Ministero dell’Economia.
E’ accaduto pochi giorni fa nell’aula della Commissione Lavoro della Camera, dove la discussione di due diverse proposte di legge (una del M5S e una di Forza Italia) su cui concordano maggioranza e opposizione, è stata bloccata da una nota della Ragioneria di Stato.
I due progetti di legge mirano entrambi a far finire quella inqualificabile violazione dei diritti dei dipendenti pubblici, che per intascare il loro Tfs devono aspettare da due a sette anni dal momento del loro pensionamento. Che si tratti di una assoluta violazione dei diritti fondamentali non lo diciamo noi sindacalisti (o meglio non solo noi), ma la Corte Costituzionale, che con ben due sentenze ha chiarito che il Tfs, al pari del Tfr dei dipendenti privati, è salario differito, di conseguenza si tratta di soldi del dipendente pubblico a cui vanno corrisposti negli stessi tempi previsti per il settore privato (due o tre mesi, per essere chiari). Lo Stato, insomma, non se li può tenere in cassa e restituirli poi con comodo (con molto comodo), senza peraltro riconoscere alcun interesse.
In realtà le due proposte non puntano al rapido pagamento dell’intera somma, ma prevedono che almeno una parte di quel Tfs (non più di 63 mila euro) sia pagato entro tre mesi, peccato, però, che la Ragioneria di Stato abbia dato parere negativo, perché, come ha precisato una analisi dell’Inps, il saldo degli arretrati (pur limitando il versamento alla quota già detta) costerebbe più di tre miliardi e una cifra del genere va coperta con stanziamenti che al momento non sono previsti. E tanti saluti ai diritti e anche ai giudici Costituzionali. I soldi dei dipendenti pubblici possono rimanere in cassa al Tesoro ed essere spesi per altre finalità. Il Tfs degli statali, quindi, per il Mef è una sorta di bancomat a cui ricorrere a piacimento, non un diritto dei dipendenti da rispettare. E sono quasi vent’anni che va avanti questo andazzo.
Nessuno vuole negare che il problema dei conti pubblici sia un macigno, ma non si capisce perché a sostenere lo sforzo debba essere sempre e solo una sola categoria. Se un imprenditore privato per finanziarsi tiene in cassa il Tfr dei suoi dipendenti oltre i tempi consentiti, i lavoratori possono rivolgersi al giudice del Lavoro, cioè a una articolazione dello Stato, che quando però diventa imprenditore può comportarsi come o anche peggio dei privati.
Si dirà che il governo qualcosa ha fatto, favorendo una convenzione con alcune banche che anticipano ai lavoratori parte del Tfs (fino a 45 mila euro), ma lo fanno ovviamente a pagamento (attualmente il tasso è del 4%), in alternativa il lavoratore può ricorrere all’Inps, che da un anno concede un’anticipazione, anche dell’intera somma, ma anche questa soluzione ha un costo (l’1%) e soprattutto ha tempi di lavorazione che superano l’anno di attesa (pare ci sia un problema di organici insufficienti). Entrambe le soluzioni sono onerose e nel caso dell’Inps anche inefficienti e soprattutto rappresentano un’ulteriore violazione dei diritti del dipendente, come ha chiarito anche in questo caso la Consulta.
Per il Mef, insomma, il dipendente pubblico ha due strade: o si rassegna a prendere i suoi soldi dopo anni d’attesa, incassando una somma alleggerita dall’inflazione e regalando allo Stato gli interessi che chiunque altro avrebbe dovuto corrispondergli; o se li fa anticipare dalle banche o dall’Inps, ma a questo punto gli interessi li deve pagare lui. Tertium non datur. E se qualcuno fa notare, come ha fatto la Consulta, che tutto ciò è incostituzionale, si può rispondere che purtroppo il bilancio del corrente anno non permette di pagare una cifra del genere. Peccato, però, che siano più o meno vent’anni che in nessuna legge Finanziaria sia mai stata infilata una posta del genere. E allora, provocazione per provocazione, faccio io una proposta: Costa troppo smaltire gli arretrati tutti in una volta. Bene, fissiamo una data, un giorno qualsiasi di quest’anno. Per chi va in pensione da quella data in poi, il Tfs sia pagato subito, per gli arretrati già accumulati, invece, si faccia un piano di smaltimento. A questo punto nelle pieghe del bilancio non ci dovrebbero essere troppi problemi a trovare i soldi e almeno per qualcuno i diritti comincerebbero ad essere rispettati.
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