Si arrende anche l’ultimo consorzio di pescatori: «Da giorni non tiriamo su niente. È una catastrofe ambientale e sociale, serve subito lo stato d’emergenza»
PORTO TOLLE (ROVIGO). La laguna è immobile. Le barche sono tutte all’ormeggio. Uscire a pescare non ha più senso, è solo uno spreco di carburante. Sono finite le vongole. È finita la stagione della prosperità, forse addirittura un’epoca.
«Quel maledetto» dice Luca Passareglia, 37 anni, pescatore con l’aria da boxeur. Se ne sta in piedi nel suo capanno. Impila le nasse. Ripete gesti ordinari che sono diventati vuoti. Osserva la fine del suo mondo nella luce calda che annuncia la primavera. «Da giorni tiravamo su e non c’era più niente. Niente nell’orto 5A. Niente nel 5B. Niente neppure nell’orto 3, uno dei più grandi. Ci veniva da piangere, dico davvero. Tutto distrutto, macinato come pepe, le vongole, i semi, le nostre reti. Tiravamo su e l’unica cosa che trovavamo era l’invasore. Ha vinto lui, dovete credermi. La faccenda è drastica. Il granchio blu è ovunque. Ci saranno problemi anche per la stagione turistica».
Tramonto sul Delta del Po. Tramonto fra Gorizia e Ferrara, fra Veneto ed Emilia Romagna, dove il grande fiume si butta nel mare. È il Polesine dell’acqua cattiva, il Polesine della fame. Nessuno si dimentica da dove viene. E questa terra unica, che era stata una delle più povere d’Italia, adesso vive nuovi giorni di preoccupazione.
«Guarda qui» dice il presidente del consorzio Luigino Marchesini. «L’anno d’oro era stato il 2010, con 100.238 quintali di vongole veraci. Siamo scesi a 51.962 quintali nel 2022. Ma ancora andava bene, mangiavamo tutti. Ed ecco il calo degli ultimi mesi del 2023: a ottobre 2.096 quintali, a novembre 560 quintali, a dicembre 163 quintali. A gennaio e febbraio 2024: zero. Niente di niente. Non ci sono più vongole. Finite. Per questo abbiamo chiuso anche noi. Adesso cosa dobbiamo fare? Qui non ci sono fabbriche. Tutti i pescatori sono a casa, senza ammortizzatori sociali. Dal governo tante parole, nessun fatto». Ma come? Non si ricorda della premier Giorgia Meloni che mangiava il granchio blu, in vacanza assieme al ministro e cognato Francesco Lollobrigida? «Certo che mi ricordo. Che errore madornale. Anzi, diciamola tutta: che grandissima cazzata!».
Quello che è successo in questa zona d’Italia probabilmente entrerà nei libri di storia per indicare un passaggio, un salto. Il granchio blu ha proliferato molto più qui che altrove. «Quando a giugno noi catturavamo i granchi per mandarli al macero ne facevamo fino a 180 quintali. In quello stesso momento a Orbetello in Toscana ne tiravano su 3 quintali». Lo dicono per dare un senso delle proporzioni. Secondo i pescatori della sacca di Scardovari, ci sono due motivi precisi di questa situazione unica in Italia. «La grande siccità del 2022, a cui è seguita la tremenda alluvione del 2023», dice Luigino Marchesini. «Quel caldo anomalo, sommato alla gigantesca quantità di fango che si è riversata in mare dopo l’alluvione dell’Emilia Romagna, ha creato le condizioni per la proliferazione eccezionale del granchio blu».
È, dunque, la fine delle vongole una conseguenza diretta del cambiamento climatico. Due accadimenti estremi, a cui se ne aggiunge un terzo che adesso ha grande rilevanza. «Ti ricordi dell’acqua granda in piazza San Marco?», domanda un altro pescatore che si chiama Massimo Boscolo. «Era il 2019. In quei giorni, qui nell’Adriatico, l’onda di piena ha abbattuto i capanni dei pescatori. Sono stati ricostruiti, più alti e più sicuri. Ma adesso molti di noi hanno un mutuo da pagare e nessuno stipendio».
Gli unici soldi stanziati sono stati quelli per la cattura del granchio blu la scorsa estate, nel tentativo di eliminarlo. Nessuno sa dire con certezza come sia arrivato qui. Ma è una specie tipica americana. E adesso prolifera nel Mediterraneo. «Abbiamo provato a catturarlo, ma lui si è riprodotto più velocemente» dice ancora Boscolo. «Per venderlo servono macchinari costosi, che noi non abbiamo. Novanta per cento di carapace, dieci per cento polpa: non conviene. Non potrà mai sostituire le nostre vongole».
Ecco i nomi di questa geografia stravolta: Goro, Gorino, Porto Tolle, Comacchio, Scardovari, la laguna del Canarìn e quella di Barbamarco. «Ormai sono acque sterili», dicono i pescatori. Il granchio mangia vongole e cozze, mangia le moleche, i pesci. Anche chi va a branzini si trova le reti distrutte. «Vedrete questa estate cosa succederà con i bagnanti», dice amaramente il presidente della cooperativa Marchesini. Tutti dovremo farci i conti.
Poche storie come questa del granchio blu hanno un potere simbolico. Ma le conseguenze sono concrete. Sono qui davanti: una barca ormeggiata dopo l’altra. La fine delle vongole. Tutte le politiche a monte sono fallite, mai messe in campo. Tutte le politiche a posteriori – ristori, sgravi fiscali, sostegno alle famiglie, salvaguardia della biodiversità – sono state solo annunciate. Resta questa tremenda solitudine. Restano i parcheggi vuoti dove arrivavano i camion a caricare quel ben di dio. «È stato terribile. Ci siamo accorti subito che non avremmo potuto farci niente. Tiravamo su solo granchi. Questa è una catastrofe ambientale e sociale. Serve lo stato d’emergenza, serve un commissario. Stiamo cercando di recintare alcune zone per impedire al granchio di entrare. Ma sono solo piccole parti. Non è possibile mettere gabbie ovunque».
Quando il sole va giù, il pescatore Luca Passareglia chiude il suo capanno e torna a casa. È come uno di quegli operai che vanno davanti alla fabbrica anche dopo la dimissione. «Non voglio arrendermi», dice. «Ma noi abbiano solo acqua e campagna, solo acqua e campagna. Guardati intorno. Vedi qualche altro futuro possibile?».
La Stampa