Claudio Testuzza, Il Sole 24 sanità. Come è ormai consuetudine anche per il 2024 è stato varato il Milleproproghe. Un testo legislativo che assomma tante disposizioni nuove e vecchie che avevano bisogno di essere introdotte o aggiornate e nel quale trovano sede diverse esigenze. Fra le novità due provvedimenti interessano particolarmente la classe medica. Si tratta dell’ormai famoso “scudo penale” e della volontà, più volte espressa in sede parlamentare di permettere ai medici di rimanere in servizio sino al 72° anno d’età. In questo caso si tratta dei dirigenti medici dipendenti del servizio sanitario o dell’Università stante che questa condizione era stata già prevista, nel recente passato, per i medici in rapporto convenzionale. Le motivazioni adottate da entrami i provvedimenti si riferiscono alle condizioni attuali di funzionamento del servizio sanitario. Lo scudo viene indicato come intervento ( art. 4, comma 8 septies ) per il quale : “…si tiene conto delle condizioni di lavoro dell’esercente la professione sanitaria, dell’entità delle risorse umane, materiali e finanziarie concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare…”. Per l’età del pensionamento ( art.4, comma 6 bis ) la proroga a 72 anni si attiva per : “…fronteggiare la grave carenza di personale, le aziende del Servizio sanitario nazionale, fino al 31 dicembre 2025, possono trattenere in servizio…”.
Scudo penale soluzione tampone. In verità la scelta di giustificare i nuovi interventi legislativi correlandola allo stato di difficoltà attuale del servizio sanitario non rende ragione né al sistema, che si continua ad affermare essere il più importante ed essenziale della nazione, né agli operatori che, con grande abnegazione, continuano a servire i cittadini e lo Stato. Lo scudo penale riconferma la limitazione della punibilità ai soli casi di colpa grave prevista, per la durata dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19 e si applica altresì ai fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale (lesioni colpose e omicidio colposo) commessi fino al 31 dicembre 2024 nell’esercizio di una professione sanitaria in situazioni di grave carenza di personale sanitario. L’intervento legislativo ha il fine non di attivare per i medici l’impunità, ma di creare la condizione di sentirsi protetti quando operano per la salute dei cittadini. Il problema non sono le sentenze che, come dimostrano i numeri, giungono, praticamente nella quasi totalità dei casi ad assoluzioni, ma cercare di evitare gli anni di calvario, di ansia e di spese che un medico deve subire ogni volta che, magari per un atto dovuto, viene coinvolto in un’inchiesta penale per aver assistito un paziente o per aver cercato di salvargli la vita. Lo scudo penale proteggerà i camici bianchi fino al 31 dicembre 2024 dalle cause penali per colpa lieve ma anche da quelle per errori gravi quando si lavora in condizioni di difficoltà per carenza di personale fermo restando per gli assistiti la possibilità di ricorre al processo civile per ottenere il risarcimento.
Proprio il riferimento alla colpa grave, però, non esclude automaticamente il fatto che il sanitario possa comunque ritrovarsi imputato e dover difendere il proprio operato e giustificare le scelte mediche fatte, al fine di includere l’evento nella sfera della mera colpa. Difatti, nel nostro ordinamento la colpa grave non trova luogo in norme penali ma è tratta dal codice civile ed è oggetto di interpretazione giurisprudenziale. Quindi, non essendo la colpa grave normata, ogni singolo fatto potrà essere, comunque, analizzato dal Pm e dal Giudice per valutare se si versi in una situazione di colpa generica o di colpa grave. Si tratta, quindi, di una soluzione tampone in attesa della riforma sulla responsabilità su cui, in primavera, dovrebbe chiudere i lavori un tavolo ad hoc presso il Ministero della Giustizia. Obiettivo della riforma sarà quello di rafforzare lo strumento della conciliazione e al contempo limitare l’accesso al processo penale solo nei casi di dolo.
Medici in corsi fino a 72 anni. Per effetto dell’emendamento approvato nel disegno di legge per la conversione del decreto Milleproroghe è stato previsto che, fino al 31 dicembre 2025, i dirigenti medici e sanitari degli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale potranno richiedere la prosecuzione del rapporto fino al compimento del settantaduesimo anno di età e le amministrazioni ne potranno autorizzare il mantenimento in servizio. Le università possono applicare la disposizione, anche, ai docenti universitari che svolgono attività assistenziali in medicina e chirurgia. Inoltre le amministrazioni possono riammettere in servizio, sempre a domanda, fino al compimento del settantaduesimo anno di età e comunque non oltre il 31 dicembre 2025, il personale collocato in quiescenza a decorrere dal 1° settembre 2023 avendo maturato i requisiti anagrafici e contributivi per il pensionamento di vecchiaia, nei limiti delle facoltà assunzionali vigenti e previa opzione da parte del medesimo personale per il mantenimento del trattamento previdenziale già in godimento ovvero per l’erogazione della retribuzione connessa all’incarico da conferire. I dirigenti medici e sanitari e i docenti universitari che svolgono attività assistenziali in medicina e chirurgia di cui al presente comma non possono mantenere o assumere incarichi dirigenziali apicali di struttura complessa o dipartimentale o di livello generale.
Un articolo zeppo di “possono” e “potranno”, specie a favore dell’ amministrazioni, con il possibile intervento di discrezionalità e con delle limitazioni della funzionalità e ruolo già svolto che sarà, inevitabile, fonte di conflitto fra gli stessi sanitari e di possibili ricorsi. Se parliamo poi di numeri, gli aventi diritto a richiedere il mantenimento in servizio dovrebbero essere poco più di mille a livello nazionale. E di questi quanti decideranno di restare a lavoro dovendo abbandonare l’attuale ruolo apicale? Davvero pochi. Tutto questo rumore per una misura che inciderà poco o nulla sul tema della carenza.
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