Si discute una proposta di legge che nelle sue pieghe penalizza inutilmente gli allevamenti e che aprendo le porte delle aziende alle guardie zoofile crea inutili sovrapposizioni con le strutture sanitarie già impegnate nel controllo del benessere animale e della loro salute
Proteggere gli animali e punire più severamente chi li maltratta. Propositi encomiabili e largamente condivisibili quelli che si propone di attuare la proposta di legge a firma dei deputati Brambilla, Dori, Rizzetto e Bruzzone che si sta discutendo in questi giorni.
Non che la materia non sia già ampiamente regolamentata, tanto che gli stessi obiettivi li ritroviamo nel Regio Decreto del 19 ottobre 1930, ancora in vigore.
Il reato di maltrattamento degli animali trova spazio poi nel Codice Penale, che stabilisce pene severe per chi si macchia di questo crimine, che definire odioso è riduttivo.
Serve una nuova legge?
Ci si può interrogare sulla necessità di intervenire su questa materia, sulla quale insistono tante leggi.
I casi di cronaca, sebbene non numerosi, di corse clandestine di cavalli o peggio di combattimenti fra cani sembrano dare ragione ai proponenti di questa nuova proposta legislativa.
Nel leggerne le premesse si intuisce che l’obiettivo principe è quello di tutelare maggiormente gli animali da affezione che popolano le case di milioni di italiani.
Ma questa grande crescita di interesse per cani e gatti, oltre che per mille altre specie, anche esotiche, genera un importante giro di affari che può far gola a malintenzionati.
Di qui un fiorente traffico illegale di cuccioli e non solo, attuato senza alcun rispetto per il benessere e la salute di questi stessi animali.
Punire chi maltratta
Bene allora inasprire le pene, con multe di molte decine di migliaia di euro, ricorrendo, quando occorra, anche al carcere.
Può essere un buon deterrente puntare il dito (e le pene) a chi assiste a incontri proibiti di combattimento fra animali o di corse clandestine. I proponenti la nuova legge sono però andati oltre.
Forse convinti dal continuo demonizzare gli allevamenti di animali da reddito (cosiddetti intensivi, ma meglio sarebbe dire protetti), hanno ritenuto opportuno coinvolgere anche questi ultimi.
I deputati che firmano la proposta di legge sono forse ignari che gli allevamenti sono tenuti al rispetto di norme stringenti sul benessere animale e che eventuali maltrattamenti non possono sfuggire agli occhi delle strutture sanitarie che vigilano sulle filiere zootecniche.
Dimenticando per di più che i primi a volere il bene dei propri animali sono gli allevatori, non fosse altro che per mere ragioni economiche.
Guardie zoofile
Così, quasi in sordina, ecco spuntare all’articolo 11 della proposta di legge una modifica all’articolo 6 della Legge 189/2004 con la cancellazione di sei parole “con riguardo agli animali di affezione”. Detta così non si comprende molto.
Vediamo allora cosa dice questa legge, ovviamente ancora in vigore. All’articolo 6, comma 2, si legge: “La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute”.
La posizione degli allevatori
Cancellando quelle sei parole ne consegue che il controllo sugli allevamenti è affidato anche alle guardie zoofile e a quelle delle varie associazioni.
Sembrerebbe quasi messo in discussione quanto ora fanno medici veterinari e altri professionisti con un’adeguata preparazione sui complessi temi delle filiere alimentari.
Preparazione che non sempre si riscontra in chi ha compiti di guardia zoofila o “giurata”.
Bene ha fatto l’Associazione Italiana Allevatori (Aia) a sollevare il problema, intervenendo in sede di audizione alla Camera. “Quella delle guardie zoofile – si legge nella memoria depositata nel corso dell’audizione – diverrebbe un’attività di vigilanza che si sovrappone a quella già svolta regolarmente ed efficacemente dai veterinari professionisti del servizio pubblico”.
Prevalga il buonsenso
Ma c’è un altro importante passaggio della proposta di legge che secondo la stessa Aia cela forti preoccupazioni per il mondo degli allevamenti.
Si propone infatti di abrogare un articolo, il 19 ter del Regio Decreto del 1931. La sua cancellazione comporta l’applicazione di norme del Codice Penale (le disposizioni del titolo IX-bis) che verrebbero così estese agli allevamenti, al trasporto e alla macellazione degli animali.
Le disposizioni che si vorrebbero cancellare, evidenzia ancora la “memoria” di Aia, non vennero concepite per favorire l’impresa di allevamento, ma semmai per distinguerla da quella della tenuta di animali da affezione.
Il rischio è quello di rendere penalmente rilevanti alcune pratiche ordinarie, come ad esempio la macellazione d’urgenza in allevamento per evitare sofferenze all’animale.
I prossimi passaggi
Ora la proposta di legge continuerà il suo iter con ulteriori cicli di audizione, il prossimo dei quali è in calendario per il 20 febbraio in Commissione Giustizia.
Il pericolo resta quello di una visione distorta, animata da una sensibilità animalista fuorviante che, pur con finalità di importante valore etico, rischia di ottenere effetti modesti. Per di più penalizzando inutilmente settori produttivi come l’allevamento degli animali, dove la prima regola è il benessere animale.
Perché dove il benessere animale manca c’è solo un comportamento criminale da perseguire e un’azienda destinata al fallimento.
Fonte: AgroNotizie –
Autore: Angelo Gamberini