Frodi, bandi irregolari e «sperpero delle risorse». È il vocabolario oscuro del Pnrr. Quello delle «condotte illecite», il titolo che la Corte dei conti sceglie per alzare il velo sul malaffare che sta attraversando il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Le procure regionali hanno già messo in fila i progetti e le cifre finiti nel gorgo nero: i danni erariali per ora ammontano a 1,8 milioni, ma devono ancora essere quantificati con precisione e soprattutto, recita l’alert, «saranno di importo notevolmente maggiore».
Ecco allora che l’inaugurazione dell’anno giudiziario diventa per la Corte l’occasione per svelare le dinamiche oscure che scorrono sotto l’attuazione del Piano. Denuncia, la magistratura contabile. Lo fa anche se azzoppata, per la decisione della destra al governo di cancellare il controllo concomitante, quindi in itinere. La ferita non si è mai chiusa del tutto. Certo, la Corte mantiene altri poteri di controllo, ma il precedente pesa e si aggiunge a una serie di “limitazioni” che nel corso degli ultimi anni hanno indebolito la capacità di indagare sull’utilizzo dei fondi, nazionali ed europei. E per questo che il presidente Guido Carlino rivendica per la magistratura «autonomia e indipendenza» come «presidi indispensabili» a garanzia dei cittadini. Nell’analisi finisce anche la messa a terra delle risorse: il Piano procede a rilento.La Corte fa suoi gli ultimi dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio: al 26 novembre 2023 risultavano spesi 28,1 miliardi (circa il 14,7% del totale delle risorse), mentre restano da impiegare 138,2 miliardi per conseguire tutti i target previsti.
L’allarme non finisce qui. Riguarda anche il cosiddetto scudo erariale che limita la responsabilità degli amministratori pubblici al dolo, escludendo la colpa grave. Non è casuale il timing del messaggio della Corte. In questi giorni, infatti, a Montecitorio si discute della possibilità di estendere la validità dello scudo, che scade il 30 giugno, fino a fine dicembre. Più che un’ipotesi dato che la maggioranza ha presentato quattro emendamenti al decreto Milleproroghe che chiedono di prorogare il regime speciale addirittura fino alla fine di giugno del 2026, in linea con la scadenza finale del Pnrr. Alla fine potrebbe prevalere la versionepiù soft della modifica, ma per la Corte è un errore anche solo l’idea della proroga perché, è il ragionamento, non solo non è necessaria, ma rischia di disincentivare gli amministratori virtuosi.
A preoccupare è anche una proposta di legge presentata da Fratelli d’Italia alla Camera: di fatto una sterilizzazione dei poteri ex post della Corte. Se un atto – è la traccia – avrà superato il controllo preventivo di legittimità, allora non sarà più possibile sottoporre a giudizio, per responsabilità erariale, gli amministratori che l’hanno adottato. Pur senza citarla è a questa proposta che si riferisce il procuratore generale Pio Silvestri quando dice che «i magistrati guardano con preoccupazione a quegli interventi legislativi che potrebbero rendere sistemica la previsione » dello scudo. C’è però un problema: il governo la pensa diversamente. All’opposto.