Premierato. Salvini fa presentare in Senato la proposta sul tris dei governatori, mentre sul Ddl Casellati è stallo per l’ostruzionismo delle opposizioni. Ipotesi taglia emendamenti
Fotografia numero uno: la Lega presenta in commissione Affari costituzionali del Senato due emendamenti al decreto elettorale in cui chiede di elevare da due a tre il limite dei mandati sia per i presidenti di Regione sia per i sindaci di tutte le città, indipendentemente dalla popolazione.
Fotografia numero due: nella stessa prima commissione di Palazzo Madama l’iter del Ddl Casellati che introduce l’elezione diretta del premier caro a Giorgia Meloni subisce una battuta d’arresto a causa dei circa duemila emendamenti presentati a scopo ostruzionistico dalle opposizioni. E contemporaneamente, come a prevenire la tentazione della Lega di approfittarne, arriva l’avvertimento del ministro meloniano per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani: «Premierato e Autonomia differenziata sono le due facce della stessa medaglia: rafforzamento poteri locali e rafforzamento poteri del premier. Immagino che prima che venga approvata in seconda lettura l’Autonomia dovrà essere approvata in prima lettura al Senato la riforma costituzionale». Insomma, attenzione a strappare le bandierine degli altri.
Più ancora che allo scontro con le opposizioni, il premierato all’italiana sembra dunque essere appeso ai rapporti tra Fratelli d’Italia e Lega, rapporti sempre più tesi via via che si avvicinano le elezioni europee, come dimostra il pressing leghista di queste ore in favore degli agricoltori in rivolta (si veda pagina 3). Appare chiaro che nelle intenzioni della Lega il via libera al terzo mandato per permettere a Luca Zaia di essere riconfermato alla guida del Veneto nel 2025 è conditio sine qua non per un sereno iter della riforma costituzionale cara alla premier. E magari anche per migliorare il testo, come auspica Fratelli d’Italia, togliendo gli equivoci che ancora permangono sul potere di scioglimento delle Camere in capo al premier eletto e sulla questione del “secondo premier” (non è normato, per impuntatura della Lega, il caso in cui il premier eletto venga battuto sulla fiducia posta su un singolo provvedimento).
Intanto oggi il presidente meloniano della prima commissione del Senato Alberto Balboni dovrà affrontare il nodo di come procedere a fronte degli emendamenti delle opposizioni: «Facendo un rapido calcolo – sostiene – per esaminarli tutti occorrerebbero sei mesi». Altro che entro le elezioni europee. Gli uffici tecnici stanno studiando il da farsi, ma è vero che finora il cosiddetto canguro è stato usato solo nei voti d’Aula e non in commissione. «In base al principio procedurale gli emendamenti possono essere votati così da far discendere dalla bocciatura di uno quella di altri che condividono una stessa parte comune, i cosiddetti emendamenti a scalare, oppure raggruppati per principi, che configura una sorta di canguro per concetti – dice l’esperto di partiti e procedure parlamentari Salvatore Curreri -. Di solito comunque non si ricorre a questi strumenti in commissione perché si trova un accordo in mancanza del quale il testo, scaduti i termini entro cui la commissione deve riferire, può andare in Aula dietro decisione della Capigruppo». Si tratta dell’ipotesi ventilata nelle scorse ore dallo stesso Balboni, ossia andare in Aula senza relatore, ma occorre appunto l’accordo dei partiti della maggioranza nella Capigruppo. Ma fin qui il capogruppo dei senatori leghisti Massimiliano Romeo ha sempre detto che «non c’è alcuna fretta» e che per le modifiche alla Costituzione occorrono tempi «lunghi»…
Il Sole 24 Ore