Aumenti contrattuali del 3,78% e arretrati da riscuotere di 15mila euro in media e poi novità su telemedicina e tutele per malattie e infortuni. E anche qualche aggancio al Pnrr e alla Sanità territoriale che sta bussando alla porta. Dopo 6 anni di attesa, arriva il rinnovo dell’Accordo collettivo nazionale (Acn) di medicina generale e continuità assistenziale 2019-2021 siglato ieri in Sisac dai sindacati di categoria che interessa 40mila medici di famiglia e oltre 10mila ex guardie mediche. A snocciolare i primi risultati è il segretario nazionale della Fimmg, il sindacato principale, Silvestro Scotti: «Con l’Accordo recuperiamo parte del ritardo accumulato negli anni. Aggiornando i compensi al 2021 e recuperando 5 anni di arretrati, parliamo di più di 700 milioni, soldi accantonati negli anni dalle regioni e che non aumentano la spesa pubblica».
Ma la vera partita sul futuro della medicina di famiglia si giocherà con il prossimo Acn 2022-2024 e visti i tempi lunghi con cui si arriva al traguardo il rischio è quello di arrivare troppo tardi mentre nel frattempo continuano ad aprire le nuove Case di comunità. Il nodo è sempre quello e cioè come riformare una professione che dopo il Covid non può più restare isolata nel suo ambulatorio: oltre a qualche specialista e agli infermieri – anche loro difficilissimi da trovare – l’idea è far lavorare almeno parte dei 40mila medici di famiglia (e 17mila specialisti ambulatoriali) nelle Case di comunità. Ma come? Il precedente Governo Draghi aveva pensato di obbligarli a lavorare un certo numero di ore nelle nuove strutture, ma il progetto è naufragato con la caduta dell’Esecutivo e da allora ogni progetto è rimasto nei cassetti. Tramontate le strade più radicali come quella di assumere i nuovi medici di famiglia come dipendenti (oggi sono liberi professionisti in convenzione) l’idea a cui si sta lavorando è di lasciare questa opzione volontaria: chi lavorerà nelle Case di comunità almeno un po’ di ore (con il massimale che scenderà a 800-1000 assistiti) avrà un incentivo economico, ma la vera novità riguarderà i nuovi medici di famiglia che avranno un”vincolo” fisico a lavorare nelle Case di comunità in associazione con gli altri colleghi.
Comunque già nell’intesa siglata ieri ci sono le prime tracce del futuro che verrà: c’è innanzitutto il consolidamento delle Aggregazioni funzionali territoriali (Aft) come terminale di una rete mirata a tenere insieme il ridisegno dell’assistenza sul territorio voluto dal Pnrr, ma anche il via libera al ruolo unico per la medicina generale che consentirà anche alle guardie mediche di avere uno studio con propri assistiti, magari proprio nelle case di comunità. Oltre l’impegno a prestare servizio nelle stesse case di comunità con un orario inversamente proporzionale al numero degli assistiti il cui tetto (massimale) potrà espandersi da 1.500 a 1.800 pazienti.
Tra le altre novità per i dottori, maggiori tutele della genitorialità nell’ottica di una professione sempre più al femminile e una maggiore autonomia di gestione degli studi medici, che potranno anche ospitare specialisti per la presa in carico dei pazienti cronici.
Non mancano i nodi e a metterli in fila è questa volta il vicesegretario della Fimmg, Pierluigi Bartoletti: «Sarà il prossimo Atto di indirizzo a definire le priorità e la prima è che il sistema va organizzato con la maggiore efficienza possibile, armonizzando ospedale, territorio e domicilio, per garantire risposte tempestive e appropriate ai cittadini. Adeguate – aggiunge – a un modello di medicina sempre più mirato sulla prevenzione e su una presa in carico in sinergia con specialisti,infermieri e psicologi».
Il Sole 24 Ore