Il regolamento europeo accartocciato da Von der Leyen prevedeva di dimezzare l’uso dei pesticidi nei campi europei entro il 2030. Senza quei prodotti chimici però le rese agricole calano dell’8% per i cereali, dell’11% per i semi da olio e del 10% per gli ortaggi. Ecco perché la bozza, nata nei corridoi di Bruxelles nel 2020 su iniziativa dei Verdi, era finita subito nel mirino delle lobby dei grandi produttori agricoli europei, spalleggiati dalle destre. Il voto del 22 novembre scorso all’Europarlamento si era tradotto in una disfatta: 299 no, 207 sì e 121 astenuti. Il testo iniziale era stato talmente stravolto da centinaia di emendamenti che perfino i sostenitori della bozza in aula avevano finito per votare contro.
Pochi giorni dopo, il 28 novembre, la Commissione Europea si era spaccata sull’erbicida glifosato. Il fitofarmaco più usato al mondo è accusato — ma senza prove stringenti — di provocare mutazioni del Dna ed è collocato dunque dalla Iarc (l’agenzia dell’Oms che si occupa di ricerca sui tumori) nella tabella dei probabili cancerogeni.
Incapace di prendere una decisione a maggioranza, la Commissione aveva di fatto rinnovato l’autorizzazione a usare il glifosato nei paesi europei per altri dieci anni. Le elezioni europee che si avvicinano e la marcia dei trattori hanno infine convinto Parigi nei giorni scorsi a “mettere in pausa” il progetto Ecophyto, che riprendeva il principiodi “Farm to fork” e chiedeva agli agricoltori di dimezzare l’uso dei pesticidi. L’annuncio di Von Der Leyen, ieri, è stato dunque l’ultimo chiodo sulla bara della lotta dell’Europa alla chimica nei campi.
«La colpa non va data agli agricoltori », ragiona Segrè. «Hanno margini di guadagno talmente ridotti che non li si può biasimare. Vogliono salvare il raccolto, e il raccolto oggi si salva con i pesticidi. Spetterebbe alla politica capire che non è l’unica via. Esistono la lotta biologica, i bioagrofarmaci, gli insetti utili e le nuove tecnologie di evoluzione assistita. Sono tecniche efficaci e compatibili con l’ambiente che richiedono però tanta ricerca. Molti altri paesi investono su questi temi con profitto. L’Italia no. Ed è questo l’errore che ci ha portato all’impasse di oggi».
Noi consumatori continuiamo così a ritrovarci residui chimici nei piatti. L’Efsa — l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare di Parma — dipinge una situazione nemmeno troppo allarmante. Secondo il suo ultimo rapporto sui pesticidi del 2021 solo il 2% dei campioni prelevati dall’agricoltura e dall’allevamento europei supera i livelli massimi concessi dalla legge per le singole sostanze chimiche. Ma se si ribalta il punto di vista e si va a cercare nei nostri organismi — come ha fatto l’anno scorso il consorzio Human Biomonitoring for Europe analizzando i campioni di urina — l’84% delle persone ha in corpo almeno due tipi di pesticidi, il valore medio è di 3 pesticidi a individuo, con picchi di 13. Tutti e 13 rispettano i limiti di legge, certo, ma il loro effetto cumulato e combinato è ignoto. Nessuno ha mai spiegato se e quanto faccia male.
La Repubblica