Un programma di riduzione alle rivalutazioni delle pensioni e alle pensioni future. Un fitto calendario di danni patrimoniali arrecati al risparmio previdenziale dei lavoratori che porta all’impoverimento del ceto medio. Riaprire il dibattito sulla previdenza pubblica, vigilare sulle interpretazioni che verranno date su alcuni aspetti discutibili nella loro applicazione, predisporre un adeguato contenzioso. È indispensabile la consapevolezza che parte dall’informazione dei tagli e dei danni patrimoniali arrecati al risparmio previdenziale dei lavoratori.
Una legge di bilancio iniqua: generosa con gli evasori, punitiva per il lavoro dipendente ed in particolare per i dipendenti pubblici.
I lavoratori dipendenti (particolarmente colpiti i dipendenti pubblici) nonché i pensionati pagano il conto salato di una legge di bilancio iniqua che continua a premiare evasori, percettori di redditi autonomi con trattamento fiscale di favore e imprese con extra profitti maturati con i movimenti di mercato prodotti dalle crisi politiche ed energetiche.
Sulle pensioni norme retroattive e di dubbia costituzionalità. Cancellati i diritti acquisiti. Si genera un futuro previdenziale senza certezze e totalmente nelle mani della discrezionalità politica. L’articolo 1 comma 157 agisce retroattivamente sui rendimenti delle pensioni future di alcune categorie di dipendenti pubblici, il provvedimento riguarderà nei prossimi anni 732.000 contribuenti. Numerosi commentatori di diverso orientamento politico hanno sollevato fortissimi dubbi di costituzionalità. La cancellazione dei diritti acquisiti comporta l’apertura di un infinito e pluriennale contenzioso, la precarizzazione dell’intero sistema previdenziale esposto a continue modifiche che disorientano ed impediscono qualunque programmazione del futuro previdenziale dei lavoratori. Vengono manomessi gli effetti dei contratti di lavoro e il potere legislativo si impadronisce delle risorse versate obbligatoriamente dai dipendenti arrogandosi il diritto di disporne a piacimento. Sono state cambiate le regole a partita in corso. In questo senso la manovra non ha precedenti e rischia di aprire la strada ad un sistematico esercizio arbitrario del potere.
Pesanti tagli alle pensioni di anzianità future in molti casi il valore viene mantenuto solo con una permanenza aggiuntiva in servizio.
Per i sanitari, i dipendenti degli Enti locali, gli insegnanti delle scuole primarie e gli ufficiali giudiziari il mantenimento dell’attuale calcolo dell’assegno pensionistico comporta nella maggioranza dei casi la permanenza fino a 65 anni . Limitatamente ai medici (ma non per gli altri dirigenti sanitari, i tecnici di laboratorio, tecnici di radiologia, ostetriche, fisioterapisti, operatori sociosanitari)) e agli infermieri esiste poi una parziale e in molti casi effimera graduazione del taglio a seconda del posticipo rispetto alla prima data utile del pensionamento. Per esempio un dipendente maschio che ha iniziato la contribuzione a 19 anni raggiunge i 42 anni e 10 mesi e 3 mesi di finestra a 62 anni e 1 mese, la decurtazione piena si riduce di un terzo a 63 anni e un mese, di due terzi a 64 anni e un mese. Non sono molti i soggetti che possono vantare contribuzioni continuative senza interruzioni a partire almeno dal 21° anno, per gli altri la graduazione non comporta di fatto benefici. Se si considera l’aspettativa di vita la decurtazione è addirittura superiore per coloro che non sono prossimi al pensionamento nei prossimi anni all’intero ammontare della liquidazione.
Vedi tabelle 1 e 2 .
Le salvaguardie e le attenuazioni ottenute in sede di conversione
È stata evitata la vergogna di penalizzare i dipendenti pubblici (in particolare i medici, ma non solo) che avevano già maturato i requisiti pensionistici e si erano trattenuti in servizio su richiesta o con l’approvazione dell’Amministrazione per far fronte all’emergenza Covid, alla mancanza di personale e all’emergenza delle liste d’attesa. La norma infatti non riguarda coloro che hanno maturato il diritto alla pensione nel 2023 e coloro che hanno un’anzianità di 15 anni nel sistema retributivo ovvero ante 1996. Inoltre le nuove aliquote non si applicano a chi viene collocato a riposo per risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro al raggiungimento dei requisiti della pensione anticipata. Anche questa cessazione è assimilata al collocamento a riposo d’ufficio come per il limite ordinamentale (la legge di bilancio 2024 all’art.1 comma 161, infatti parla di “regolamento nell’amministrazione”).
Una disinformazione spudorata sugli effetti della legge di bilancio sulle pensioni future.
La strategia governativa è quella di disconoscere o minimizzare gli effetti della manovra sulle pensioni future, confidando sul fatto che gli effetti non sono evidenti nei pensionamenti dei prossimi anni ma si manifesteranno negli anni successivi. Addirittura si negano spudoratamente le penalizzazioni che per certe categorie e per determinate classi di età sono nettamente peggiorative della legge Fornero. Un chiaro esempio è proprio il caso di chi ha iniziato la contribuzione a 19 anni e che per avere una pensione senza penalizzazione deve attendere i 65 anni ovvero raggiungere quota 46. Un abisso rispetto alle promesse elettorali di quota 41. Anche il dibattito parlamentare é stato di fatto abolito. Si confida evidentemente nella scarsa consapevolezza degli effetti del provvedimento nell’opinione pubblica. Anziché incentivare la presenza in servizio si usa il manganello delle penalizzazioni per differire il pagamento delle pensioni. Lavorare più a lungo o pagare penalizzazioni.
Un regalo speciale si allunga la finestra ma solo per le categorie sanitarie, degli enti locali, maestre della scuola primaria e ufficiali giudiziarie. Si allunga l’erogazione della pensione di fatto si sposta l’età pensionabile.
Per i sanitari, i dipendenti degli Enti locali, gli insegnanti delle scuole primarie e gli ufficiali giudiziari che accederanno alla pensione di anzianità si vedranno allungato il periodo finestra cioè il periodo che passa dalla maturazione dei requisiti all’erogazione della pensione. Solo per queste categorie è previsto l’allungamento di tale periodo finestra che attualmente e fino al 2024 è determinato in 3 mesi, che diventeranno 4 mesi dal 2025, 5 mesi dal 2026, 7 mesi dal 2027 e 9 mesi successivamente. Entro 5 anni si arriverà a 6 mesi di lavoro in più. Sono forme surrettizie di spostamento dell’età pensionabile effettiva. In realtà, visto che l’aspettativa di vita non aumenta, si procede con un aumento della finestra mobile che supera l’indicizzazione. Ingegnosa e spregiudicata iniziativa.
I tagli ad orologeria
Chi ha maturato i requisiti nel 2023 non subirà i tagli per norma. Chi maturerà i requisiti a partire dal 2024 potrà subire dei tagli della parte retributiva delle pensioni se lascia il lavoro prima del limite ordinamentale che al momento è fissato a 65 anni. I tagli aumentano nel tempo e sono maggiori per le donne. Tabella 3. Inoltre a partire da chi maturerà i requisiti dal 2025 si andrà incontro anche all’allungamento delle “finestre” dai 3 mesi attuali si passerà a 4 mesi nel 2025, 5 mesi nel 2026, 7 mesi nel 2027 e a 9 mesi a partire dal 2028.
Dirigenza sanitaria non medica, Dirigenza amministrativa tecnica e professionale, nonché maestre della scuola d’infanzia e ufficiali giudiziari senza graduazione delle penalizzazioni.
La legge prevede una riduzione della penalizzazione pari a un trentaseiesimo per ogni mese di posticipo del pensionamento rispetto alla prima data di maturazione dei requisiti ma solo per gli iscritti alla cassa CPS (medici e veterinari) e gli iscritti alla cassa CPDL che terminano l’attività lavorativa come infermieri. Gli altri Dirigenti sanitari e gli altri lavoratori sempre del comparto sanità iscritti alla CPDL (psicologi, farmacisti, biologi, chimici, fisici, dirigenti delle professioni sanitarie, tecnici di lavoratorio, tecnici di radiologia, ostetriche, fisioterapisti, operatori sociosanitari) non hanno la graduazione della penalizzazione che pertanto scatta in forma piena ed intera per qualunque anticipo rispetto al limite ordinamentale anche di un solo giorno. Analogamente ciò vale per la Dirigenza amministrativa tecnica e professionale, nonché per le maestre della scuola d’infanzia e per gli ufficiali giudiziari. L’intero impianto risulta di difficile gestione, discriminatorio e superficiale.
La beffa di chi ha pagato il riscatto per un rendimento arbitrariamente ridotto, in attesa di fare giustizia.
Resta la beffa di chi ha pagato un riscatto oneroso o una ricongiunzione calcolati sulla base del vecchio rendimento e che adesso si vede riconosciuto un rendimento ridotto. Sarebbe come se il Tesoro non corrispondesse un tasso di interesse fisso concordato all’emissione sui propri titoli di Stato, le conseguenze sull’affidabilità creditizia nonché sulla credibilità e la reputazione del debito pubblico sarebbero devastanti. Si tratta di un provvedimento da molti considerato incostituzionale e per tale motivo i precedenti governi si erano fermati con ipotesi simili anche in avanzata istruttoria.
Penalizzate pesantemente le pensioni di anticipate future dei giovani nel sistema contributivo posto un tetto arbitrario dell’assegno per chi andrà in pensione prima dei 67 anni pari a cinque volte il minimo lordo INPS. Manomesso il coefficiente di trasformazione della Legge 335/95.
Meno percepite ma non meno gravi per gli effetti che sortiscono sono le modifiche peggiorative della Fornero previste per i giovani e per tutti coloro che sono nel sistema contributivo (art.1. comma 139). Infatti viene posto un tetto pari a 5 volte il minimo Inps per il valore lordo della pensione in regime contributivo nel caso di pensionamento prima dei 67 anni: in pratica chi nel sistema contributivo deciderà di andare in pensione a 64 anni avrà comunque un assegno ridotto a 5 volte il minimo Inps ovvero 3.074 euro lordi mensili (circa 2.190 euro netti mensili) fino ai 67 anni. La pensione contributiva “piena” la si otterrà solo a partire dai 67 anni. In tal modo si manomette il coefficiente di trasformazione per il sistema contributivo correlato all’età di pensionamento e all’aspettativa di vita. In pratica il principio della legge Dini e del sistema contributivo che prevede una pensione proporzionale ai versamenti effettuati viene artatamente manomesso. Introdurre dei limiti di importo anche se per un periodo limitato contrasta con l’equità e la sostenibilità del sistema contributivo. Inoltre è stata prevista una finestra mobile di 3 mesi dal 2024 anche per questa tipologia di pensione.
Opzione donna praticamente congelata senza allargamento sostanziale della platea.
Per le donne senza figli l’opzione donna è praticamente ferma. La draconiana amputazione avvenuta a partire dal 2023, aveva limitato la fruibilità solo a tre categorie di lavoratrici con almeno 35 anni di contribuzione: “caregiver, invalide civili in misura pari o superiore al 74% e licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale”. Ma mentre nel 2023 occorrevano 60 anni maturati entro il 2022 adesso ne occorrono 61 (60 con un figlio e 59 con almeno due) maturati entro il 2023, pertanto un ulteriore restringimento della platea. Ormai sono pochissime le donne che optano per questa possibilità per il sistema contributivo puro penalizzante e la finestra di 12 mesi.
I presunti privilegi dei dipendenti pubblici e i privilegi reali
Quanto alla comparazione con altre categorie di questi rendimenti e ai presunti privilegi occorre tener conto non solo dell’entità dell’assegno ma anche dei versamenti effettuati, dell’età di pensionamento e della capienza della contribuzione evitando una visione parziale su un solo aspetto per giustificare il provvedimento. Infatti i dipendenti e in particolare i dipendenti pubblici:
- Da sempre versano l’aliquota massima del 33% su tutte le voci stipendiali senza evasione contributiva e non rientrano tra le categorie “protette” che contribuiscono con il 24%;
- Da sempre rinunciano al 37-38% della loro retribuzione che viene sottratta nei contratti di lavoro per alimentare l’assegno pensionistico;
- Non hanno mai goduto di anticipi sull’età pensionabile con i prepensionamenti;
- Non godono di pensioni assistenziali in carenza di contributi (che sono circa 7 milioni pari al 43%) o integrate al minimo anche in presenza di rendite e patrimoni. Se si fa una graduatoria tra quanto versato e dato e quanto ricevuto i dipendenti pubblici sono certamente tra i più virtuosi. Ci sembra troppo facile colpire categorie di contribuenti fedeli con prelievo alla fonte dei contributi in un sistema che di fatto tollera un enorme evasione fiscale e contributiva che non ha eguali in Europa.
Taglio senza precedenti per la rivalutazione delle pensioni sulla base dell’inflazione, praticamente azzerate le rivalutazioni degli assegni medio alti. Si programma il progressivo impoverimento delle pensioni medio alte.
La norma tuttora vigente prevede che le pensioni vengano rivalutate secondo il tasso di inflazione media dell’anno precedente. Tale rivalutazione dovrebbe essere pari al 100% fino a 3 volte il minimo Inps (tale minimo per il 2024 è pari a 614,77 euro mensili lordi per 13 mensilità) pari al 90% fino a 5 volte il minimo e pari al 75% per valori superiori a 5 volte il minimo. La rivalutazione è stata bloccata dalla legge Fornero-Monti a partire dal 2012 e poi prorogata nel 2014 per un altro triennio e nel 2016 per un ulteriore biennio. Dal 2019 e nel 2020 vengono adottate nuove griglie. Nel 2021 si verificò un inflazione negativa nell’anno precedente. Tuttavia si trattava di inflazioni molto basse per cui la mancata rivalutazione determinava una modesta riduzione in termini di poteri d’acquisto. Infatti nel periodo 2012-2021 l’inflazione è stata complessivamente di circa il 7,3%. Nel 2022 si torna alla praticamente normalità con rivalutazioni regolari. E’ con questo governo che si operano i tagli più significativi con abbattimento delle percentuali di rivalutazione che coincidono con un forte incremento dell’inflazione. Infatti l’inflazione media nel 2022 è stata pari al 8,1%: in un anno solo l’inflazione è risultata maggiore di quella registrata nell’intero decennio precedente. Una pensione superiore a dieci volte il minimo era nel 2023 una pensione mensile lorda di 5.637,4 euro ovvero una pensione netta di circa 3.825 euro (variabile a seconda delle addizionali Irpef regionali e comunali).Le pensioni che superano di un euro la soglia di 10 volte il minimo nel 2023 avrebbero dovuto avere una rivalutazione pari al 75% dell’inflazione (8,1% a consuntivo) come sancito dalla disciplina generale a regime (legge 388/2000 come modificata dalla legge 160/2019) ovvero 456,62 euro lordi pari a circa 251 euro netti mensili. Invece la rivalutazione nel 2023 è stata del 32% con recupero solo del 2,592 % del 8,1% dell’inflazione reale ovvero nel caso di una pensione che supera di 1 euro la soglia di 10 volte il minimo una rivalutazione netta di circa 80 euro con una perdita mensile netta di circa 170 euro e annuale di circa 2.210 euro netti. La legge di bilancio per il 2024 ha replicato questo meccanismo: l’inflazione reale è stata del 5,7% (5,4 % programmata per gli aumenti di gennaio 2024 e 0,3% a conguaglio) ma l’aumento verrà corrisposto solo alle pensioni fino a 4 volte il minimo Inps. Per le altre pensioni solo una percentuale che per l’ultimo scaglione sarà il 22% del 5,7% ovvero 1,254%. Rispetto al 2023 la rivalutazione è stata ridotta dal 32% al 22% per le pensioni oltre 10 volte il minimo. Tabella 4. In pratica le pensioni oltre i 3.970 euro in due anni recupereranno il 3,846% dell’inflazione a fronte di un’inflazione del 13,8% e a un recupero previsto dalla 233/2000 del 10,35%. Una botta del 10% che rientra nella strategia di distruzione del ceto medio con una speciale penalizzazione per i contribuenti onesti che hanno versato tasse e contributi investendo nella pensione pubblica.
Nonostante i richiami della Corte Costituzionale continua il sequestro delle liquidazioni dei dipendenti pubblici. Indispensabile un nuovo pronunciamento della Consulta.
Dal 2013 la liquidazione dei dipendenti pubblici viene corrisposta a rate che decorrono dopo 12, 24 e 26 mesi per le pensioni vecchiaia mentre per le pensioni di anzianità le rate decorrono dopo 24, 26 e 48 mesi. Un vergognoso sequestro di bene personale. Più volte la Corte Costituzionale ha sollecitato il legislatore a intervenire per attenuare quello che è un vero e proprio default un’insolvenza dello Stato, particolarmente intollerabile per le pensioni di quanti hanno raggiunto la vecchiaia o il limite ordinamentale. Il governo fa finta di niente nasconde il debito sotto il tappeto.
Previdenza integrativa nessun incentivo.
Nessun incentivo per la previdenza complementare nemmeno l’adeguamento ISTAT della quota deducibile.
Caos riscatti
Il costo dei riscatti dovrebbe verosimilmente aumentare per quanti faranno domanda dal 1 gennaio 2024, il meccanismo da verificare si rischia di creare ulteriori discrepanze e discriminazioni. È una conseguenza della scellerata manomissione retroattiva dei coefficienti. Maggiori costi a fronte di minori prestazioni.
Riaprire il dibattito sulla previdenza pubblica, vigilare sulle interpretazioni che verranno date su alcuni aspetti discutibili nella loro applicazione, predisporre un adeguato contenzioso. È indispensabile la consapevolezza che parte dall’informazione dei tagli e dei danni patrimoniali arrecati al risparmio previdenziale dei lavoratori.