Intervento di Eugenia Tognotti, La Stampa. Nel ribollente dibattito su Sanità e autonomia differenziata – che coinvolge professionisti della salute, studiosi, esperti, gruppi politici dell’opposizione, sindacati di medici e associazioni, rappresentanti locali delle regioni svantaggiate – spicca il silenzio assordante del ministro della Salute, Orazio Schillaci, tecnico di area Fdi . Né basta la lapidaria osservazione, raccolta dai cronisti in margine alla presentazione di un convegno, sul fatto che potrebbe essere la “volta buona” per mettere alla pari l’efficienza delle Regioni.
La perdurante condizione di “afonia” ha privato fin qui gli interessati – praticamente tutti gli italiani ai quali la Costituzione riconosce il diritto alla salute, l’unico per il quale la Carta riserva l’aggettivo “fondamentale” – di conoscere il suo pensiero sul ddl Calderoli, che tra le altre cose, non di poco conto e con imprevedibili implicazioni, sembra rimandare ad un venir meno del ruolo guida del dicastero, già capofila del Servizio Sanitario Nazionale e all’aumento dei poteri di autocrazie regionali.
Cosa pensa davvero, dunque, il ministro della Salute – al di là di brevi esternazioni di circostanza – dell’autonomia differenziata, fortissimamente voluta dalla Lega (che dopo l’approvazione in prima lettura a palazzo Madama ha sventolato la bandiera del leone di San Marco, simbolo del Veneto e dell’identità storica e culturale di quella regione)? Quali effetti, a suo giudizio, potrà avere quella riforma che si abbatterà sul nostro bene pubblico nazionale più prezioso cioè il Servizio Sanitario nazionale, nato con la legge 833/1978, che ci ha permesso di affrontare la traversata nel deserto della terribile emergenza pandemica? Una legge spartiacque, quella, che garantiva la tutela della dignità e della libertà della persona, attraverso i principi cardine della globalità delle prestazioni, dell’universalità dei destinatari e dell’uguaglianza del trattamento tra tutti i cittadini.
Quali scenari si possono intravvedere dietro le trionfalistiche dichiarazioni del ministro per gli Affari regionali e le autonomie, al cui nome è legata la riforma elettorale, ribattezzata, non a caso, col nome di Porcellum?
È perfino troppo facile prevedere che l’introduzione dell’autonomia differenziata produrrà una irreversibile frammentazione del servizio sanitario, anche di fronte a grandi emergenze di carattere nazionale come Covid-19; che rafforzerà le spinte verso l’egoismo territoriale e aggraverà differenze, diseguaglianze e squilibri negli accessi ai servizi sanitari tra varie aree del Paese, che già oggi alimentano la migrazione sanitaria dalle regioni-cenerentola a quelle più ricche.
Inoltre, producendo una molteplicità di sistemi organizzativi, rischia di elidere ogni coerenza fra alcuni sistemi “regionalizzati” e i principi fondativi del Servizio sanitario nazionale che garantiscono l’effettiva attuazione dell’articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti». Né serve a rassicurare – date le tante incognite in campo – la precondizione necessaria a mettere in moto l’autonomia differenziata: in caso di extracosti a carico delle finanze pubbliche, non si potrà procedere al trasferimento di funzioni alle regioni senza aver stanziato le risorse per garantire i Lep – cioè i “livelli essenziali di prestazione” sull’intero territorio nazionale – comprese le regioni che non hanno sottoscritto le intese – in modo da scongiurare disparità di trattamento tra territori. Questa nuova clausola “salva-unità nazionale” dovrebbe servire, almeno nelle intenzioni del partito della premier, a dare l’impressione che il diritto alla salute abbia conservato una dimensione nazionale e non abbia un peso diverso per siciliani, campani, toscani, lombardi.
Ma l’Italia a “pezzi”, disunita è già qui e così la «secessione delle regioni ricche» annunciata dalla trionfante bandiera del leone di San Marco, simbolo del Veneto sventolata in Senato il giorno del voto.