La Lega cerca di correre ai ripari sui costi dell’Autonomia differenziata. C’è senza dubbio l’allarme, lanciato dalle opposizioni e da alcuni osservatori, che si stia andando incontro a una cristallizzazione delle disuguaglianze nel Paese, penalizzando ovviamente le regioni meridionali. Ma ciò che preoccupa di più i leghisti sono le risorse da destinare al finanziamento dei Lep, i “Livelli essenziali delle prestazioni”, ovvero quei diritti civili e sociali da garantire in tutte le regioni, senza i quali l’Autonomia resterà un miraggio. È impossibile stimare oggi quale sarà l’impatto dei Lep sui conti pubblici, ma le prime stime che iniziano a girare in queste settimane fanno paura: tra gli 80 e i 100 miliardi di euro.
Il ministro per l’Autonomia Roberto Calderoli conta sul fatto che nel passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard non emergano correzioni particolarmente significative nel livello delle risorse e nella loro distribuzione tra i vari territori. Una fonte tecnica vicina al dossier, interpellata da La Stampa, spiega: «A meno che non si vogliano stravolgere completamente le prestazioni, è ragionevole attendersi che i fabbisogni standard non si discosteranno molto dalla spesa statale attuale». A supporto di questa tesi, fonti della maggioranza citano i Lep che sono stati definiti per gli asili nido e sono costati un miliardo di euro per uniformare il servizio in tutta Italia. Un copertura importante, ma non impossibile da trovare. Ecco da dove deriva la sicurezza di Calderoli, che in questi mesi ha sempre parlato di una riforma a costo zero. Se poi le spese dovessero lievitare, l’esecutivo si trincererà dietro alla possibilità di finanziare i Lep con tagli ad altre voci di spesa o tramite aumenti di entrate, perché l’Autonomia differenziata non può comunque determinare scostamenti dai saldi di bilancio programmati.
Il tempo gioca a favore del centrodestra che, sul tema dei costi, può facilmente buttare la palla in corner. La cabina di regia del professor Sabino Cassese, che ha il compito di individuare per la prima volta quali prestazioni vanno considerate “Lep”, ha ottenuto dal Milleproroghe un altro anno di tempo. In più, il ddl Calderoli contiene una delega attraverso la quale si interverrà sui Lep con dei decreti legislativi entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge. Insomma, se ne riparla nel 2026 inoltrato. Solo dopo si potrà andare a trattare con le Regioni per chiudere le intese. Ma se una Regione chiederà l’autonomia, ad esempio, sull’Istruzione, i Lep riferiti a quella materia – grazie a un emendamento voluto da FdI – dovranno essere garantiti in tutte le altre Regioni italiane. Questo, per le opposizioni, vuol dire solo una cosa: «È una palese presa per i fondelli degli italiani, perché anche definendo dei Lep minimali, non ci sono soldi per finanziarli. L’autonomia non si attuerà mai e resterà solo sulla carta», dice il senatore del Pd Dario Parrini, che ha seguito il percorso del dossier in commissione Affari Costituzionali. «Dall’altra parte, però, il progetto è pericoloso perché manda un messaggio di sfascio dell’unità nazionale, aprendo la strada alla regionalizzazione della sanità, della scuola, della previdenza, dei trasporti». Ma c’è anche «una quasi certa questione di incostituzionalità».
E qui si giocherà un altro pezzo della battaglia delle opposizioni, qualora la legge dovesse andare in porto. «C’è un tema di illegittimità costituzionale – spiega ancora Parrini – perché il testo Calderoli vuole essere una legge procedurale, ma al suo interno nasconde una legge organica, che è quella con cui si definiscono le regole con cui si approva l’intesa tra Regione e governo, senza che il Parlamento abbia la possibilità di modificarla». La leader del Pd Elly Schlein alza quindi il tiro: «Siamo pronti a mobilitarci con le altre forze». Chissà se lo farà anche con il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, con cui i rapporti sono piuttosto tesi. De Luca, che denuncia la «truffa» attuata dalla legge Calderoli, lancia infatti «una campagna di mobilitazione a difesa del Sud e dell’unità nazionale» di cui svelerà oggi i dettagli.
Il governatore del Veneto, Luca Zaia, difende però la misura bandiera della Lega: «È immorale che ci siano cittadini costretti a curarsi in una regione che non è la loro. Ma questo è colpa del centralismo, non dell’Autonomia». E anche Fabio Rampelli, volto storico di FdI, alza un muro di fronte alle critiche delle opposizioni: «Ci vuole pazienza di fronte alle lagne della sinistra. I cittadini ci hanno votato per quello che loro non hanno fatto». Ma se la Lega mostra una certa frenesia nel voler approvare definitivamente l’Autonomia prima delle Europee, Rampelli sembra frenare: «Per noi non è un totem, non è un dogma. È un’opportunità che viene data all’Italia». —
La Stampa