Sono i lavoratori con carriere miste tra pubblico e privato penalizzati dal taglio del governo: per loro non c’è la possibilità di restare fino a 67 anni. La Cgil li chiama gli “esodati” del governo Meloni. Un paradosso per un esecutivo che promette di abolire la legge Fornero a cui imputa il grosso errore di aver lasciato migliaia di lavoratori in mezzo al guado, senza pensione né lavoro. In questo caso però si tratta di “esodati” diversi.
Non più lavoratori e non ancora pensionati. Ma sostenuti da assegni- ponte frutto di accordi con le aziende. In pratica prepensionati. Con una caratteristica: il rendimento dei loro contributi versati alle casse pubbliche è stato ridotto dal governo Meloni nell’ormai famosa norma in manovra. Quella che ha tagliato la pensione di medici e infermieri. E anche dei dipendenti degli enti locali, insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate, ufficiali giudiziari.
Alcuni di questi lavoratori pubblici, per motivi diversi, sono diventati dipendenti privati. Finito il prepensionamento avranno la pensione tagliata. Per evitare il taglio dovrebbero restare al lavoro fino all’età della vecchiaia, 67 anni: unica scappatoia inserita all’ultimo da Palazzo Chigi in manovra. Ma sono già fuori e non possono farlo. Un pasticcio.
In totale sono 732.300 i lavoratori pubblici colpiti dal taglio meloniano. Il governo si è così assicurato 21,4 miliardi di risparmi dal 2024 al 2043. Tra questi ci sono anche gli “esodati” della Cgil. Ad esempio, i dipendenti delle ex aziende municipalizzate poi privatizzate. E di ex banche pubbliche come Banca Monte di Parma e Banca nazionale delle comunicazioni, poi confluite in Intesa Sanpaolo.
Molti, nel transito dal pubblico al privato, hanno scelto di restare nella cassa pubblica in cui avevano cominciato a versare i contributi nei quindici anni precedenti al 1995, in regime retributivo, il cuirendimento è stato tagliato dalla manovra. La cassa si chiamava Cpdel, Cassa per le pensioni dei dipendenti degli enti locali, assorbita da Inpdap e poi da Inps. Lavoratori che ora vengono prepensionati dalle loro aziende.
Gli strumenti per l’uscita sono diversi, come l’isopensione o il contratto di espansione. In tutti i casi si anticipano alcuni anni, fino a sette, rispetto ai requisiti ordinari della legge Fornero: 67 anni per la vecchiaia o 42 anni e 10 mesi per l’anticipata (un anno in meno per le donne). Paga l’azienda.
Nel caso delle banche di solito si ricorre al fondo esuberi di categoria. Il gruppo romano Acea (acqua ed energia), ad esempio, ha fatto un accordo di isopensione il 30 luglio 2020 con validità dal 2021 al 2024, anticipando l’uscita di quattro anni. Molti dei dipendenti interessati hanno i contributi versati nella cassa Cpdel. Come pure gli altri delle banche.
Alcuni sono già usciti con l’assegno di prepensionamento, di importo uguale alla pensione futura. Molti altri stanno per uscire. Ma tra qualche anno, ad assegno-ponte finito, la pensione che riceveranno sarà tagliata in media del 20%, calcola Ezio Cigna, responsabile previdenza della Cgil. Chi è già uscito con lo scivolo però non può più evitare il taglio, allungando la vita lavorativa fino ai 67 anni. Chi invece sta per uscire ora mette in discussione gli accordi aziendali e chiede alle imprese di aspettare. Facile immaginare che gli esodi incentivati si bloccheranno. Con problemi diffusi.
«Il governo non si è reso conto di quello che stava facendo», dice Cigna. «Gli effetti del taglio sono più ampi di quanto voluto. Non solo si fa cassa, ma si rimettono in discussione gli accordi di uscita già realizzati o in via di completamento. Vengono penalizzate anche lepensioni con il cumulo: ex dipendenti pubblici che poi hanno cambiato lavoro per finire la carriera nel privato».
Ancora non si sa quanti sono i nuovi “esodati”, la Cgil procede con la ricognizione. E si prepara anche ad «azioni legali per i forti profili di incostituzionalità della norma», dice la segretaria confederale Lara Ghiglione. «Sembrerebbe uno scherzo, invece è proprio così: il governo è riuscito nell’impresa clamorosa di peggiorare la legge Monti-Fornero. La scelta contro le pensioni dei lavoratori pubblici poi è senza precedenti».
La Repubblica