La Stampa Le liti della destra nei territori sono arrivate a Roma e rischiano di coinvolgere il governo. Il Consiglio dei ministri di domani avrebbe dovuto approvare un provvedimento che consentirebbe ai sindaci dei Comuni fino a cinquemila abitanti di candidarsi per un quarto mandato, mentre per i primi cittadini con una popolazione di quindicimila abitanti il limite passerebbe da due a tre. Tutto resterebbe uguale per sindaci delle città e presidenti di Regione. Il testo è pronto, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, già prima di Natale, ha chiesto ai partiti della maggioranza di poterlo presentare quanto prima, ma la risposta è stata: «Aspettiamo».
La prudenza è figlia delle divisioni che riguardano le Regioni. Il decreto non si occuperà dei mandati dei governatori, nonostante le pressioni (non poi così forti) della Lega. È nelle Regioni che si giocano le partite più delicate. Nell’immediato la coalizione deve risolvere il nodo della Sardegna (nell’isola si litiga ferocemente sulla candidatura) e più in là, nel 2025, ci sono in ballo le rielezioni di chi ha ormai governato per due mandati, o addirittura tre nel caso di Luca Zaia, e vuole restare al potere. Le richieste della Lega hanno trovato un muro in Fratelli d’Italia che ambisce a conquistare qualche Regione in più e il Veneto è un’occasione molto ambita.
Le tensioni in Sardegna (con effetti diretti su Basilicata e Umbria) stanno tenendo in ostaggio il via libera al decreto sui sindaci, battaglia ormai storica dell’Anci. Ma l’attesa potrebbe essere breve, anche perché sull’isola una soluzione andrà trovata presto, visto che si vota a febbraio. Oggi potrebbe essere un giorno di svolta: Matteo Salvini vola a Cagliari e su di lui ci sono gli occhi puntati degli alleati. Se il vicepremier insisterà sulla candidatura dell’attuale governatore Christian Solinas, fortemente osteggiata da Fratelli d’Italia, allora le tensioni saliranno di nuovo, bloccando ancora la norma sul mandato dei sindaci. Giorgia Meloni vuole avere qualche Regione in più, al momento il suo partito ha la presidenza di Abruzzo, Marche e Lazio (con un civico di area) e nell’immediato la pretesa è di aggiungere la Sardegna, con la candidatura di Paolo Truzzu, attuale sindaco di Cagliari, che con la premier condivide l’appartenenza alla cosiddetta “generazione Atreju”. Salvini ha fatto sapere agli alleati che eviterà rotture, ma che terrà il punto sulla linea “ricandidiamo gli uscenti”, che per puro calcolo condivide anche Forza Italia, che spera così di vedere confermata la candidatura di Vito Bardi in Basilicata.
Dove un accordo difficilmente si può trovare è sul terzo mandato dei governatori. La questione trova un’opposizione irriducibile in Fratelli d’Italia per due motivi: allungare i termini vorrebbe dire cristallizzare uno status quo figlio di un’epoca in cui il partito della premier era largamente minoritario. Inoltre, ragionano i colonnelli di via della Scrofa, cambiare la legge vorrebbe dire anche risolvere un problema al Pd, visto che in ballo ci sono i destini di Stefano Bonaccini, Michele Emiliano e Vincenzo De Luca. Il governatore dell’Emilia-Romagna giura di non aver parlato del tema con Elly Schlein, ma se non arrivassero spiragli, potrebbe decidere di correre per le Europee.
La questione incrocia gli statuti regionali con la legge nazionale (che dovrebbe prevalere) e proprio questo punto cerca di far valere Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, attualmente al secondo mandato, che vorrebbe fosse considerato come il primo, in quanto «la legislazione nazionale (che pone il limite dei due mandati ndr) è stata recepita durante questa consiliatura. Quindi le elezioni 2025 in Liguria sono giuridicamente un secondo mandato. Da noi il tema giuridicamente non si pone». Una spiegazione che però non convince gli alleati, «non avendo più un partito alle spalle, si aggrappa alla presidenza della Liguria, ma la questione è da discutere», dice un dirigente meloniano. La Lega, con Edoardo Rixi in testa, invece è più aperta alla riconferma. Ma il Carroccio ha un altro problema: Zaia. Il governatore, che ha già vinto tre elezioni (in nome del criterio invocato da Toti), conta di presentarsi per la quarta volta e per farlo ha chiesto un appoggio a Salvini. Il governatore ha stretto un patto con il vicepremier, appoggiando Alberto Stefani come segretario veneto, in cambio di un sostegno sulla battaglia del terzo mandato, da portare da Venezia a Roma. Salvini però, secondo i fedelissimi del governatore, non si sarebbe speso più di tanto. «Io sono a favore, ma c’è chi non è d’accordo», ha detto prima di Natale. Un’arrendevolezza che ha fatto innervosire Zaia, che ha un anno di tempo per immaginare il suo futuro.