Marco Rogari, Il Sole 24 Ore. Se non proprio un miraggio, quasi. Per i giovani che fanno oggi l’ingresso nel mondo del lavoro la pensione non potrà arrivare prima del compimento dei 71 anni d’età. A sostenerlo è l’Ocse nel rapporto “Pensions at a glance”, spiegando che la previsione è legata all’aspettativa di vita. E sottolineando come nel nostro Paese la spesa previdenziale rimanga molto elevata malgrado il livello del 33% di contribuzione versata per i lavoratori dipendenti sia il più alto appunto dell’area Ocse. Costi ancora in crescita, dunque, anche e causa del frequente ricorso a deroghe (come Quota 100, Quota 102 e Quota 103) alle regole sulle uscite vecchiaia.
Il report fotografa un futuro pensionistico preoccupante per le giovani generazioni. Chi nel nostro Paese inizia a lavorare adesso a 22 anni dovrà aspettare altri 49 anni per accedere alla pensione, tenendo conto dell’adeguamento all’aspettativa di vita: 5 anni in più della media Ocse (66 anni), così come i coetanei estoni. L’attesa sarà più lunga solo per i danesi (74 anni), mentre anche svedesi ed olandesi potranno pensionarsi un anno prima degli italiani, a 70 anni. Che potranno, però, contare su un tasso netto di sostituzione (cioè la pensione in percentuale rispetto al salario medio) dell’83%, ben al di sopra della media Ocse, che si ferma al 61%.
Nel rapporto si sottolinea che quest’anno l’età pensionabile legale in Italia è di 67 anni, «in forte aumento dopo le riforme attuate durante la crisi finanziaria globale». Ma l’Ocse fa anche notare che l’Italia garantisce ancora «un ampio accesso al pensionamento anticipato, spesso senza una penalità». Nel mirino ci sono le cosiddette deroghe alle regole sul pensionamento di vecchiaia che si sono susseguite negli ultimi anni.
Non manca un’annotazione sul livello della contribuzione, che è al top tra i paesi Ocse. Un livello che, si evidenzia nel report, se da un lato assicura prestazioni pensionistiche più alte, dall’altro rischia di «danneggiare la competitività dell’economia e una riduzione dell’occupazione totale» con l’aumento del lavoro informale.
Il tema ricorrente nelle fotografie scattate dall’Ocse, così come da altri organismi internazionali, è quello dell’andamento sempre sostenuto della spesa pensionistica: quella italiana nel 2021 era la seconda tra i Paesi Ocse (al 16,3% del Pil). Una spesa che nel 2025 rimarrà comunque al 16,2% del Pil raggiungendo il picco nell’intera “area” (9,3% in media). E che, sulla base delle previsioni Ocse, continuerà a lievitare fino al 2035, quando raggiungerà il 17,9% del Pil, per poi cominciare a scendere.
Nel dossier si osserva che attualmente nel nostro Paese il tasso di occupazione nella fascia tra i 60 e i 64 anni, pur essendo cresciuto significativamente negli ultimi anni, è a quota 41%, contro il 54% nell’area Ocse. A questo proposito l’Ocse sostiene che, con l’invecchiamento della popolazione mondiale, sta diventando «sempre più necessario promuovere» l’impiego dei lavoratori più anziani per “compensare” la carenza di manodopera che ha raggiunto livelli da record nel 2022 e che resta elevata anche nel 2023, malgrado il rallentamento dell’economia globale. Nel rapporto si afferma poi che in Italia il reddito degli “over 65” è pari al 103% del reddito medio nazionale contro l’88% della media Ocse. Ma si aggiunge anche che le disparità di reddito tra gli anziani nella Penisola «sono molto più alte che nella maggior parte dei Paesi Ue e Ocse».