La Stampa. Per 24 ore gli italiani ieri hanno toccato con mano cosa vorrebbe dire vivere senza un servizio sanitario nazionale. Perché lo sciopero di medici e infermieri ha fatto saltare qualcosa come 30 mila interventi chirurgici meno urgenti, 180 mila visite specialistiche e circa 50 mila esami radiografici. Secondo il principale sindacato dei camici bianchi ospedalieri, l’Anaao-Assomed, l’adesione media alla protesta è stata del 70-75% con punte dell’85%, mentre i dati provvisori forniti dalla Funzione Pubblica sono così risibili da risultare obiettivamente poco credibili.
Il malcontento tra medici e infermieri resta comunque alto, anche se dal governo sembrano arrivare segnali di pace. Prima di tutto dal fronte delle pensioni. Tra i motivi dello sciopero c’è infatti il taglio all’aliquota di calcolo dei contributi versati dal 1981 al 1996, più favorevole rispetto agli altri dipendenti pubblici. Una sforbiciata che fa perdere fino al 25% dell’assegno tanto ai dottori quanto ai cugini infermieri, oltre che a insegnanti delle materne e dipendenti degli enti locali. Secondo il ministero dell’Economia sarebbe l’abrogazione di un privilegio ereditato dagli anni ’60. Ma per evitare una fuga anticipata verso le pensioni di medici e infermieri che già scarseggiano in corsia, l’esecutivo è pronto non solo a salvare quelle di anzianità, ma anche ad attenuare il taglio sulle anticipate, prevedendo un ricalcolo meno sfavorevole via via che ci si avvicina al pensionamento per raggiunti limiti di età. E a dare una mano arriva ora anche Azione. «Siamo pronti a ridurre gli emendamenti alla Finanziaria se il governo taglierà l’articolo 33, che intervenendo retroattivamente sulle pensioni è destinato a provocare solo una valanga di ricorsi», afferma Mariastella Gelmini.
Mossa che soddisferebbe solo in parte i medici, pronti a nuovi scioperi se non verranno rimpinguate le loro retribuzioni. «Già lo stanziamento per il rinnovo dei contratti contenuto in manovra, interessando tutto il comparto sanitario, si sostanzierà in aumenti di 10 punti inferiori all’inflazione”, spiega Pierino Di Silverio, segretario nazionale dell’Anaao. «Quello che chiediamo – prosegue – è che i 280 milioni stanziati per remunerare gli straordinari, con i quali dovremmo contribuire più di quanto già oggi facciamo all’abbattimento delle liste di attesa, siano invece indirizzati a detassare con una flat tax del 15% l’indennità di specificità medica che percepiamo tutti». Tradotto farebbero 250 euro netti in più nelle buste paga dei dottori, i quali ricordano che già oggi arrivano a 60 ore a settimana di lavoro, oltre le quali appare difficile andare. Il ministro e collega, Orazio Schillaci, a questo spostamento di risorse non pone veti e grosse obiezioni non arrivano nemmeno dal titolare dell’Economia Giorgetti, interessato solo ai saldi finali. Certo è che qualcosa avrebbero da ridire gli infermieri, che senza stanziamenti aggiuntivi resterebbero senza fondi, visto che parte di quei 280 milioni che i medici rivendicano sono oggi destinati anche a loro. Fatto è che senza queste concessioni le sigle mediche che hanno proclamato lo sciopero di ieri bloccheranno di nuovo la sanità nei prossimi giorni, come annunciato dei loro leader.
Intanto però chi aveva prenotato accertamenti e interventi chirurgici farà bene a cerchiare in rosso la data del 18 dicembre, quando a scioperare saranno i sindacati più rappresentativi di anestesisti, radiologi, veterinari e biologi. Come dire che bisognerà rimettersi in lista di attesa per interventi chirurgici, esami e accertamenti diagnostici programmati per quel giorno di questo inverno sanitario che non è solo meteorologico. —