Il Messaggero. Per i medici, ma anche per le maestre d’asilo, per i dipendenti comunali e per gli ufficiali giudiziari, sarà impossibile sfuggire alla norma che dal prossimo anno tagli le pensioni attraverso il ricalcolo della quota retributiva. Nell’articolo 33 della legge di Bilancio, c’è una sorta di “comma anti-fuga”. A rilevarlo è stato l’Upb, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, l’Authority che si occupa di vigilare sui conti pubblici. In un documento consegnato in Senato, i tecnici dell’Upb spiegano che «a fronte dell’annunciato ricalcolo, appare remota l’ipotesi di un anticipo massivo delle scelte di pensionamento per evitare la misura. La norma», si legge ancora nel testo, «è scritta in maniera tale da coinvolgere tutte le pensioni con decorrenza da gennaio 2024.
Anche chi facesse domanda immediatamente», aggiunge ancora l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, «difficilmente potrebbe vedere decorrere la pensione entro la fine del 2023». Nei giorni scorsi era stato il più grande sindacarto dei medici, Anaao Assomed, a lanciare l’allarme. «Circa 6 mila medici e dirigenti sanitari del Ssn – aveva spiegato – hanno già maturato i requisiti pensionistici o li matureranno nel 2024, ovvero 42 anni e 10 mesi di contributi e 67 anni di età. Prevediamo che ci sarà un esodo perché i professionisti che potranno andare in pensione sceglieranno probabilmente di farlo subito». Ma se lo faranno, come ha spiegato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, subiranno comunque il taglio del loro assegno.
IL PASSAGGIO
L’unica strada che in teoria rimane ai camici bianchi, insomma, è quella del ricorso ai giudici, nella speranza che la questione arrivi in tempi brevi alla Corte Costituzionale. E le possibilità che la Consulta possa dare ragione ai medici non sono poi così remote. A rilevarlo, in questo caso, è stato il Servizio Studi del Senato nelle sue schede di lettura sulla manovra. «Le disposizioni», scrivono i tecnici di Palazzo Madama, «si discostano dal criterio del pro rata temporis, in base al quale per la quota di anzianità contributiva maturata prima dell’entrata in vigore di una modifica normativa continuano ad applicarsi i criteri di calcolo previgenti». Ci sono diverse sentenza della stessa Corte Costituzionale, ha ricordato il Servizio Studi del Senato, che confermano questo principio. «Alla luce di tale giurisprudenza costituzionale», concludono, «si valuti il contenuto delle disposizioni in esame».
In realtà il governo è già al lavoro per modificare la norma. La soluzione tecnica, come anticipato dal Messaggero del 17 novembre scorso, è la differenziazione tra chi lascia il lavoro in anticipo, grazie agli anni di contributi, e chi invece va in pensione di vecchiaia, ossia una volta maturati i 67 anni di età. Per questi ultimi la penalizzazione dovuta alla revisione dei coefficienti di calcolo della quota retributiva della pensione non scatterà.
Mentre per chi lascia il lavoro una volta maturati 42 anni e 10 mesi di contributi, nel caso degli uomini, e 41 anni e 10 mesi di contributi, nel caso delle donne, la penalizzazione resterà. La novità emersa nelle ultime ore nei tavoli tecnici di confronto tra il ministero del Lavoro, quello dell’Economia e quello della Salute, è che questo salvagente per le pensioni di vecchiaia potrebbe essere “a tempo”. Ci sarebbe una finestra di tre anni per poter usufruire di questa opportunità. Poi anche per chi esce a 67 anni tornerebbero le penalizzazioni.