di Stefano Simonetti, Il Sole 24 Ore sanita. Tra le tematiche segnalate dai sindacati subito dopo la sigla della Preintesa del 28 settembre, c’è ne una che è stata considerata da tutti una vittoria sindacale. Si tratta della eliminazione dei “di norma” e “di regola” di cui era piena la contrattazione pregressa. Avevano indubbiamente ragione i sindacati nel cercare maggiori certezze nelle clausole contrattuali e, soprattutto, puntare sulla loro piena esigibilità. Proviamo a fare una passo indietro per comprendere al meglio la problematica. Un contratto collettivo costituisce un negozio giuridico che civilisticamente prelude a obbligazioni individuali di natura sinallagmatica: in estrema sintesi, un contratto collettivo deve fissare gli obblighi in termini quali-quantitativi dei lavoratori e i corrispondenti (nel senso del sinallagma, appunto) obblighi del datore di lavoro; tutto ciò che è discrezionale, incerto, non definito con chiarezza costituisce un vulnus alla trasparenza ed esigibilità concreta dei contenuti contrattuali.
Il frequente ricorso alle locuzioni “le aziende possono”, “avendo riguardo”, “tenuto conto”, “di norma”, “di regola” o “compatibilmente con”, se non addirittura “le parti auspicano” non conferisce ai lavoratori alcuna certezza riguardo ai propri diritti e consente alle aziende di adottare comportamenti molto difformi anche all’interno della stessa Regione, cosa imbarazzante per una pubblica amministrazione che deve ispirarsi ai principi sanciti dall’art. 97 della Costituzione. Senza contare che una clausola contrattuale è, a tutti gli effetti, una norma giuridica che deve possedere le caratteristiche di astrattezza, generalità e coattività che se non si riscontrano – con particolare riguardo a quest’ultima – fanno dubitare della stessa utilità della presenza di tali clausole in un contratto collettivo.
La parte pubblica è sempre ricorsa a queste formule cautelari per fronteggiare situazioni congiunturali o emergenze a garanzia della continuità assistenziale ma è di tutta evidenza che se l’eccezione diventa ordinaria regola allora viene ad essere tradita l’essenza stessa di un contratto di natura obbligatoria. Molta giurisprudenza ha affermato questo principio e, per tutte, valga il caso – ai limiti dell’assurdo – trattato dalla Corte di Appello di Campobasso con la sentenza n. 208 del 2018 che ha affermato che impegnare il dipendente pressoché senza limiti in turni di reperibilità significherebbe svuotare completamente la norma contrattuale di contenuto. In quel caso si trattava di un medico radiologo che aveva prestato nei cinque anni precedenti il pensionamento l’irreale numero complessivo di 1.964 turni di reperibilità, cioè più di uno al giorno !! Non deve stupire più di tanto quell’abnorme ricorso alla pronta disponibilità – “numero davvero impressionante” viene definito dai giudici molisani – perché, nel caso di specie, si trattava di un presidio “fantasma” svuotato di personale e mandato avanti dai medici di un altro ospedale. Come si diceva, quello riportato è un caso limite ma la volontà sindacale è stata proprio quella di ricondurre le clausole contrattuali ad una ordinarietà fisiologica mentre spesso, troppo spesso, l’applicazione delle stesse era diventata di natura patologica.
Le soluzioni che si ritrovano nel testo del recente CCNL hanno, dunque, eliminato molte di queste locuzioni. Vediamo nel dettaglio quali sono. La più rilevante è forse quella relativa alla pronta disponibilità che, all’art. 30, comma 6, prevede ora tassativamente “non più di 10 servizi di pronta disponibilità” senza più la precisazione “di regola”. Analogamente, per le guardie l’art. 29, comma 5, fissa “non più di 5 servizi di guardia notturna” e, anche qui, sono scomparse le parole “di regola”. Inoltre, per ambedue gli istituti viene introdotto il computo medio su base plurimesile (4 mesi per le notti e 2 mesi per le reperibilità).
Un’altra “pulizia” delle clausole pregresse concerne le ferie. Il comma 10 dell’art. 32 afferma ora che “è assicurato il godimento di almeno 15 giorni continuativi di ferie” nel periodo estivo, mentre prima il contratto diceva blandamente “è consentito di norma”. Non può infine non essere apprezzata la perentorietà di almeno quattro passaggi relativi al sistema degli incarichi. Nell’art. 22, comma 1, II, lettera c), le parole “è conferito” hanno preso il posto di “è conferibile”. Allo stesso modo, per quelli di altissima professionalità il comma 4 dello stesso articolo non dice più “istituibili” ma “da istituire”.
E, sempre in tema di incarichi, all’inizio dell’art. 23 viene ribadito “l’obbligo di attribuzione dell’incarico”. Infine, il regime delle sostituzioni acquisisce maggiore certezza perché in due fattispecie per le quali nel CCNL del 2019 si ipotizzava una discrezionalità di retribuzione (per le sostituzioni ordinarie e per lo scavalco si utilizzava il verbo “potrà” in relazione alla quota in più di risultato), adesso deve essere attribuito il 50% del valore della posizione fissa del dirigente sostituito. Una operazione di rivisitazione simile era già stata fatta lo scorso anno nel contratto collettivo del comparto, allorquando venne introdotta la modifica di aver portato da sei a sette i turni che possono essere richiesti mensilmente (art. 44, comma 10) ma sono scomparse le parole “di norma”; l’aumento di un turno è compensato dalla tassatività del numero delle reperibilità che possono essere richieste.
Alcune sigle sindacali hanno sottolineato di essere riuscite a cancellare tutte le locuzioni incriminate ma alcune sono rimaste o perché sfuggite o perché in quei casi andavano a favore dei dipendenti. In particolare, si legge ancora che le ore di aggiornamento vanno utilizzate “di norma con cadenza settimanale” (art. 27, comma 6) e, nello stesso articolo al comma 21, che “la programmazione oraria dei piani di lavoro deve essere di norma formalizzata entro il giorno 20 del mese precedente”.
Oltre a ciò, per i permessi ex lege 104/1992, il dirigente “predispone di norma una programmazione mensile” (art. 36, comma 2). Forse anche in questi tre casi – soprattutto nel secondo e nel terzo – non c’è alcuna ragione di non considerare perentorio l’obbligo. In conclusione, il testo contrattuale appare più lineare ed esigibile e molte delle incertezze applicative sono state corrette. Tuttavia, si notano due passaggi in cui si fa ricorso alle locuzioni di cui si è parlato che costituiscono una new entry nel contratto. Si tratta dell’art. 29, comma 6, che ipotizza guardie di 12 ore “normalmente” e l’Allegato 1 che tratta dell’organizzazione della guardia “in generale”. In quest’ultimo caso, la natura stessa dell’allegato non comporta alcuna perentorietà perché le parti hanno soltanto inteso dare indicazioni e lo stesso comma 4 dell’art. 29 precisa “a titolo esemplificativo”.