La norma, infatti, è scritta in maniera tale da coinvolgere tutte le pensioni con decorrenza da gennaio 2024. Anche chi facesse domanda immediatamente, difficilmente potrebbe vedere decorrere la pensione entro la fine del 2023. Nel 2025, il primo anno in cui ci saranno pensionati coinvolti dal nuovo calcolo su una intera annualità di pensione, la riduzione media lorda è stimabile in 2.767 euro per i 7.300 iscritti alla Cassa per i sanitari.
A riportare il tutto è relazione dell’ Ufficio parlamentare di bilancio sulla manovra, depositata nei giorni scorsi al Senato.
Qui si spiega innanzitutto che la modifica, a valere solo sulle nuove decorrenti, dei criteri di calcolo delle pensioni degli iscritti alle Cassa per i dipendenti degli Enti locali (Cpdel), alla Cassa per i sanitari (Cps), alla Cassa degli insegnati di asilo e di scuole elementari parificate (Cpi) e alla Cassa del personale presso gli Uffici giudiziari (Cpug), “comporterà complessivamente, a fine 2043 (ultimo anno riportato nella Relazione tecnica), risparmi lordi cumulati per 32,9 miliardi (21,4 al netto della fiscalità)”.
Tuttavia, in media d’anno, nel medio termine (nel periodo 2024-28), “la misura vale circa 170 milioni al lordo della fiscalità e poco più di 110 milioni al netto. A oggi, si apprestano al pensionamento gli ultimi lavoratori ‘retributivi’, mentre per vedere il passaggio in quiescenza di tutti i ‘misti’ bisognerà attendere il 2038-2040, gli anni della ‘gobba’ pensionistica. Lo snodo affrontato dal DDLB riguarda proprio costoro, gli ultimi ‘retributivi’ e soprattutto i ‘misti’ appartenenti alle quattro Casse citate. Le aliquote di rendimento molto alte dei primi anni di carriera (soprattutto del primo) sono sopravvissute a oltre trenta anni di riforme e modifiche previdenziali e hanno un impatto non trascurabile sull’importo della pensione da liquidare”.
La modifica prospettata dalla manovra “ridimensiona questa discrepanza di trattamento, senza eliminarla del tutto”. A parità di percentuale di retribuzione pensionabile acquisibile in 15 anni di anzianità, cioè il 37,5 per cento, questa “quota non sarebbe più in gran parte precostituita il primo anno di lavoro (come nella normativa attuale), ma sarebbe raggiunta gradualmente tramite scalini regolari e identici di 2,5 punti percentuali per ogni anno di anzianità, pari al rapporto tra 37,5 e 15”.
Nella relazione si spiega come, “chi ha maturato almeno 15 anni di anzianità all’interno delle regole retributive non viene, di fatto, toccato dalla misura. La soglia dei 15 anni si può giustificare con il fatto che, da questa durata in poi, l’aliquota di rendimento media scende al di sotto del 2,3 per cento e poi continua a diminuire convergendo lentamente al parametro valido per la generalità dei lavoratori dipendenti. Ma al di là di questa valutazione, l’aspetto più saliente è che chi ha più di 15 anni di anzianità all’interno delle regole retributive, se non è già passato in quiescenza, è tra i lavoratori più vicini al pensionamento (qualche mese o al più un anno, in rari casi due) e appare implicita la decisione di tutelarlo da cambiamenti verso i quali avrebbe ridotte possibilità di riadattamento”.
Espresso in termini di anni di anzianità “perduti”, la modifica introdotta con la manovra raggiunge il massimo (poco meno di 3 anni) per i lavoratori che hanno maturato tra 5 e 7 anni di anzianità all’interno delle regole retributive. “Nella media di tutte le anzianità contributive, i lavoratori coinvolti perderebbero circa 1,7 anni di anzianità equivalente. Invece, espressi in percentuale dell’anzianità pre 1996, gli anni di anzianità “perduti” mostrano un andamento decrescente dal 90 per cento dei soggetti con un solo anno maturato allo 0 per cento di quelli che ne hanno maturati almeno 15. La riduzione del 100 per cento tocca chi non ha ancora completato il primo anno di anzianità”.
Nel 2025 l’impatto pro capite annuale stimato dall’Ufficio parlamentare di bilancio varrebbe 815 e 530 euro, rispettivamente, al lordo e al netto della fiscalità; nel 2028 i due valori sarebbero rispettivamente 1.443 e 938 euro. Successivamente gli importi aumentano costantemente nel tempo sino a raggiungere, nel 2043, 4.785 euro al lordo e 3.110 euro al netto della fiscalità. Nel 2043 tanto varrà l’impatto sull’ultimo dei lavoratori “misti”, quello con un solo anno di anzianità maturato pre 1996 sul quale la correzione sarà più incisiva. “Nel 2025, il primo anno in cui ci saranno pensionati coinvolti dal nuovo calcolo su una intera annualità di pensione, la riduzione media lorda è stimabile in 2.767 euro per i 7.300 iscritti alla Cps”.
Infine, come anticipavamo, si spiega che, a fronte dell’annunciato ricalcolo, “appare remota l’ipotesi di un anticipo massivo delle scelte di pensionamento per evitare la misura. La norma è scritta in maniera tale da coinvolgere tutte le pensioni con decorrenza da gennaio 2024. Anche chi facesse domanda immediatamente, difficilmente potrebbe vedere decorrere la pensione entro la fine del 2023. Sembra remoto il rischio di “corse” al pensionamento che possano mettere in difficoltà il funzionamento degli Uffici della Amministrazioni pubbliche. Molto più concreto appare, invece, l’eventualità su questa norma venga chiamata a esprimersi la Corte costituzionale”.
20 novembre 2023