DI MICHELE BOCCI, Repubblica. L’Italia mette pochi soldi nella sanità pubblica. È una tendenza che viene da lontano e che il governo Meloni ha proseguito, accentuandola. In pochi in Europa destinano meno risorse all’assistenza dei cittadini e le prospettive sono drammatiche, anche perché il nostro è uno dei Paesi con la popolazione più anziana del continente. Di questo passo, il sistema pubblico crollerà, schiacciato dall’invecchiamento della popolazione e dalla riduzione del numero dei lavoratori, che con le loro tasse assicurano le risorse del fondo sanitario nazionale. Secondo The european house Ambrosetti, che oggi presenta la sua pubblicazione “Meridiano sanità”, ci si salva solo con quattro azioni: promuovere da subito la natalità, spingere per una partecipazione maggiore al mercato del lavoro, attrarre immigrati a lavorare da noi e adeguare l’età pensionabile.
La spesa sanitaria italiana, pubblica e privata è del 9% rispetto al Pil, quando in Germania e Francia il dato supera il 12% e in Inghilterra e Austria l’11%. Anche il valore della spesa pubblica, pro capite, è eloquente. In Italia nel 2022 valeva 3 mila euro, come in Spagna. Ad avere numeri più bassi ci sono solo Portogallo e Grecia. La Germania invece supera i 6 mila euro, I Paesi Bassi li sfiorano, Austria, Svezia, Francia e Danimarca superano i 5 mila. L’indicatore fondamentale è il rapporto tra la spesa sanitaria pubblica e il Pil. Ebbene, è stato del 6,6% l’anno scorsonel prossimo e nel 2025, ha stimato il governo, scenderà al 6,4%, mentre per il 2026 si prevede che arrivi al 6,1%. Il tutto mentre i costi della farmaceutica, una delle voci di spesa più importanti insieme a quella del personale, sono destinati a crescere, anche per le misure previste nella manovra appena approvata.
Gli italiani suppliscono come possono alle carenze del pubblico. Soprattutto quando vogliono ottenere una vista o un esame prima di quanto offerto da Asl e ospedali, pagano il privato. La spesa cosiddetta “out of pocket” vale 41,5 miliardi di euro, dei quali 4,7 servono a pagare assicurazioni sanitarie o mutue senza scopo di lucro, che secondo Ambrosetti devono essere oggetto di una nuova regolamentazione perché supportino meglio il pubblico. Il dato della spesa privata è cresciuto del 17% in dieci anni ma dal 2018 è abbastanza stabile (2020 a parte, causa Covid). Anche per la spesa privata siamo tra i Paesi che spendono meno in Europa.
Ambrosetti ha elaborato uno scenario per capire cosa succederà nei prossimi anni alla sanità. Come orizzonte è stato preso il 2050. A causa della forte tendenza all’invecchiamento della popolazione, i cittadini con oltre 65 anni saranno il 36% (oggi sono il 24%). Diminuiranno gli occupati, che saranno 19 milioni contro 23. Oggi il fondo sanitario vale 134 miliardi ma nel 2050 ne serviranno ben 211 per assicurare l’assistenza agli italiani. E così i lavoratori invece degli attuali 5.800 euro all’anno per la sanità dovranno versare circa 11.000 euro. «Ma dal momento che la pressione fiscale media sui redditi, pari al 29,6%, colloca l’Italia al sesto posto nei Paesi EU-13, questa possibilità appare poco percorribile. In aggiunta non va dimenticato che l’aumento della pressione fiscale dovrebbe accompagnarsi all’aumento dei servizi erogati ai cittadini», scrivono dal centro studi, che suggerisce di agire in più modi. Tra questi, come detto, «la promozione di politiche di attrattività di capitale umano dall’estero e sostegno all’immigrazione puntando soprattutto su settori ad alto tasso di crescita e innovazione, caratterizzati anche da livelli retributivi maggiori».