La Stampa. L’esperienza da ministra della Sanità è lontana, si parla di quasi 30 anni fa, ma Rosy Bindi non ha mai smesso di occuparsi di salute pubblica. Anche quando risponde al telefono per l’intervista ha appena terminato un incontro dedicato al “Declino della sanità pubblica”, perché ai «tagli» del governo non si rassegna. Come, del resto, non intende restare a guardare di fronte al premierato proposto da Giorgia Meloni.
Però Meloni nega tagli alla sanità, dice che con 136 miliardi il fondo sanitario raggiunge il livello più alto «mai visto» e vi accusa di fare «giochetti».
«La domanda è: sono ignoranti loro o pensano che siamo ignoranti noi. La verità è che si arriva a 136 miliardi nel 2026 con incidenza sul Pil del 6,3% mentre nella Ue si supera 7%. Nel frattempo il soldi sono assolutamente insufficienti per far fronte all’inflazione, al caro bollette, al rinnovo del contratto di lavoro, al recupero delle liste d’attesa. Il fondo sanitario è sottostimato da anni di almeno 15 miliardi. Nessuno pretendeva fossero messi tutti in una sola legge di bilancio, ma era necessaria almeno la cifra che regioni – tutte, anche quelle di centrodestra – avevano chiesto e concordato con il ministro Schillaci: 3 miliardi entro quest’anno e poi almeno altri 5 miliardi. Chiediamoci: perché tutto questo?»
Azzardo: vogliono una sanità delle assicurazioni?
«Esattamente. Non si interviene sul personale, c’è ancora il tetto per le assunzioni mentre salta quello per i privati convenzionati e si incrementano i compensi alle farmacie. Lo stesso intervento sulle pensioni dei medici e su tutto il settore pubblico è il segnale che si vuole incentivare la fuga degli operatori dal sistema sanitario pubblico. E non lo possiamo permettere».
Sulle pensioni dei medici ora il governo sembra voler frenare. Va bene?
«Intanto vediamo cosa fanno davvero. Con questo governo non si sa mai. E comunque anche solo pensare di fare una cosa del genere vuol dire che non si ha nessuna intenzione di fermare l’emorragia verso il privato e l’estero».
Ma le liste d’attesa infinite sono un problema antico, non lo hanno risolto nemmeno i ministri di centrosinistra.
«Io ho fatto il ministro tanti anni fa. Sono pronta a riconoscere le responsabilità della mia parte politica. Ma oggi c’è assoluta carenza di personale. E il centrosinistra non ha mai avuto intenzione di privatizzare la sanità pubblica. Ha sottovalutato qualche luogo comune un po’ troppo diffuso, cioè che il Ssn non fosse più sostenibile. E invece i sistemi universalistici sono gli unici sostenibili. Si deve poter scommettere sulla qualificazione della spesa pubblica e si deve essere esigenti. Non si può abbandonare questa strada e affidarsi al profitto, che va bene per il mercato ma non per un bene pubblico come la salute».
Sulla sanità pesa anche l’incognita dell’autonomia differenziata. Basteranno i Lep ad evitare troppi squilibri tra le regioni?
«I Lep non sono finanziati e anche questo è un modo per legittimare la secessione delle parti più ricche del Paese. Perché se i problemi sono comuni si permette di risolverli solo ad alcuni? Chi chiede l’autonomia differenziata vuole affidare parte della sanità alle assicurazioni. Cosa che segnerebbe la fine del Ssn».
A proposito di riforme, lei sarà entusiasta del premierato di Giorgia Meloni…
«Eh… È evidente che si tratta di uno scambio con l’autonomia differenziata. Io ho combattuto contro le riforme di Berlusconi e Renzi, che oggettivamente erano meno scardinanti. Questa proposta colpisce al cuore la forma di governo e le fondamenta della nostra democrazia. Bisogna ricreare i comitati per la difesa della Costituzione, come facemmo quando Dossetti nel ‘94 ruppe il silenzio da monaco. Dobbiamo cominciare subito, i due anni che serviranno al Parlamento per approvare la legge noi dobbiamo adoperarli per sensibilizzare italiani ed evitare il rischio dell’indifferenza».
Meloni già sfida sul referendum. Non rischia la stessa sorte di Renzi?
«Intanto devono fare i conti col fatto che avere la maggioranza in Parlamento in virtù di una legge maggioritaria non vuol dire avere la maggioranza nel Paese».
Oggi il Pd è in piazza per la sanità, la pace, il lavoro, i diritti. Schlein ha imboccato la strada giusta? E c’è il rischio che qualcuno scivoli verso l’antisemitismo?
«No, la posizione del Pd sul Medio Oriente mi è sembrata equilibrata. Da anni ho rapporti con i francescani in Terra Santa, ho imparato che bisogna essere equivicini: non si risolve la questione se si sta da una parte o dall’altra. Io sono distante dai palestinesi se si affidano a Hamas e da Israele se fa una carneficina a Gaza o occupa i territori. Le piazze sono importanti ma da sole non bastano. Prima e dopo devono esserci luoghi nei quali si studia, ci si confronta».
Meloni sui migranti ha fatto un accordo con il premier albanese Rama, socialista. Si è insinuata nel vostro campo…
«Lasciamo stare gli schieramenti politici, che di questi tempi c’è una tale confusione sotto il cielo… Il commento migliore l’ho sentito da Caracciolo: è una storia come quella dei due comici? Questa ipotesi è di una gravità inaudita e mi auguro non vada in porto. Per la tutela della dignità dei migranti e anche della dignità del mio paese e del popolo albanese. Se l’anno prossimo Meloni va in vacanza da un’altra parte è meglio. O quanto meno, quando si va in vacanza si va in vacanza. Non si siglano accordi». —
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