L’Irpef (l’imposta sui redditi delle persone fisiche da cui arriva un gettito di 175,17 miliardi considerato anche addizionali comunali e regionali) mostra profonde asimmetrie, come conferma la settima edizione della regionalizzazione sul bilancio del sistema previdenziale italiano a cura di Itinerari previdenziali in collaborazione con Cida (confederazione italiana dirigenti e alte professionalità) presentato ieri al Cnel. Qualche numero? Aumentano i contribuenti dichiaranti (41.497.318) e quanti versano almeno un euro di Irpef, che salgono a quota 31.365.535, valore più alto registrato dal 2008 ma a ciascun contribuente, corrispondono però di fatto 1,427 abitanti. Come spiega Alberto Brambilla, curatore della ricerca e presidente di Itinerari previdenziali, si tratta di «una fotografia che sembrerebbe poco veritiera guardando invece a consumi e abitudini di spesa (e più vicina a quella di un Paese povero che di uno Stato membro del G7)», a maggior ragione «se si considera che, mentre quasi la metà degli italiani (il 47%) addirittura non dichiara redditi, tra i versanti è l’esiguo 13,94% dei contribuenti con redditi dai 35mila euro in su a corrispondere da solo il 62,52% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche». In sostanza, poco meno di due terzi dell’imposta a carico grava su chi dichiara da 35mila euro di redditi a salire. Cifre che, rielaborando i dati delle dichiarazioni dei redditi 2022 (anno d’imposta 2021) diffusi in primavera dal dipartimento Finanze, tengono conto dell’effetto delle imposte versate al netto del Tir, il trattamento integrativo sui redditi da lavoro dipendente e assimilati che ha preso il posto del bonus 80 euro. Il rapporto si pone come un alert al mondo politico proprio nel momento in cui è appena approdato in Parlamento (per incassare i pareri delle commissioni) il decreto attuativo della delega fiscale che introduce la riduzione da quattro a tre scaglioni dell’Irpef portando l’aliquota del 23% fino a 28mila euro di redditi (per ora) solo per il 2024. Ma con risparmi azzerati a partire da 50mila euro in virtù del taglio degli oneri detraibili.
La profonda polarizzazione – sempre secondo Itinerari previdenziali – è evidenziata dal fatto che i contribuenti che dichiarano meno di 15mila euro sono il 42,59% del totale, compresi i negativi, e pagano solo l’1,73% dell’Irpef complessiva. Più nel dettaglio, ci sono oltre 8,8 milioni di persone (il 21,29% dei dichiaranti) che denunciano tra 0 e 7.500 euro pagando in media 26 euro di Irpef l’anno mentre sono 7,8 milioni i soggetti che dichiarano tra 7.500 e 15.000 euro (il 18,84% del totale). «Siamo ormai in presenza di due forti disuguaglianze: da un lato abbiamo i contribuenti onesti, dall’altro mezzo paese dimenticato, che si pensa di aiutare con i sussidi, invece che con gli investimenti – mette in evidenza Stefano Cuzzilla, presidente Cida. Non è accettabile che poco più del 13% della popolazione si faccia carico della quasi metà degli italiani che non dichiara redditi e trova benefici in un groviglio di agevolazioni e sostegni, spesso concessi senza verificarne l’effettivo bisogno. Un 13% che guadagna da 35mila euro lordi in su, e che per questo non può beneficiare del taglio al cuneo fiscale perché è considerato troppo ricco e non può difendersi dall’inflazione nemmeno quando arriva alla pensione, sempre perché è considerato troppo ricco. Non commettiamo l’errore di pensare che le disparità che esistono in questo Paese facciano male solo a chi si trova sui gradini più bassi della scala reddituale».
La presentazione del rapporto è stata anche l’occasione per una presa d’atto delle distorsioni. «Dobbiamo recuperare il potere d’acquisto, non dimenticando che le evasioni sono un problema ed esistono ancora alcune zone d’ombra», rimarca il presidente della commissione Finanze della Camera Marco Osnato (FdI). Per Luigi Marattin (Italia Viva) bisogna superare gli slogan politici per aiutare il ceto medio. Mentre il presidente del Cnel Renato Brunetta ha evidenziato che «la transizione tecnologica, demografica e ambientale stanno scardinando l’equilibrio dell’Ottocento e del Novecento mettendo in discussione quasi tutto: servono forme nuove di lavoro, tassazione e prestazioni nuove e innovative».