Il Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) del Lazio ha emesso una sentenza che solleva la questione di legittimità costituzionale delle norme che prevedono la differenziazione delle fasce di reperibilità per i dipendenti pubblici e privati in caso di malattia. Attualmente, i dipendenti pubblici devono essere reperibili dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00, inclusi i giorni non lavorativi, le domeniche e i festivi, mentre per i dipendenti privati, la fascia di reperibilità va dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 17:00 alle 19:00.
Vediamo quindi cosa dice la Sentenza del TAR Lazio e cosa accadrà ora.
Cosa dice la sentenza del Tar Lazio sulle fasce orarie di reperibilità malattia Statali
Con la sentenza n. 16305 del 3 novembre 2023 il Tar del Lazio ha ritenuto che la differenziazione delle fasce orarie di reperibilità costituisca una disparità di trattamento ingiustificata tra i dipendenti pubblici e privati, violando il principio costituzionale di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione italiana. Questo articolo afferma che
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Il tribunale ha sottolineato che mantenere fasce orarie differenziate con una durata complessiva quasi doppia per i dipendenti pubblici rispetto a quelli privati sembra essere un abuso di potere e un tentativo di scoraggiare l’uso del congedo per malattia, in contrasto con la tutela della salute prevista dalla Costituzione.
Il ricorso al Tar del Lazio è stato presentato nel 2018 dal sindacato Uilpa della Polizia Penitenziaria contro il decreto ministeriale n. 206 del 2017, noto come ‘decreto Madia’, che regolamenta le fasce orarie di reperibilità e le visite di controllo per i dipendenti pubblici in malattia.
Come funziona adesso la reperibilità durante la malattia
Le fasce orarie di reperibilità durante la malattia dei lavoratori dipendenti pubblici e privati, meglio conosciuti come orari visite fiscali, sono appunto delle fasce orarie durante le quali, il lavoratore in malattia, non può allontanarsi dal proprio domicilio, se non per giustificato motivo.
In queste fasce orarie infatti il datore di lavoro o l’INPS stesso, possono sottoporre il lavoratore ad una visita di controllo, per verificare con esattezza la malattia del lavoratore e la durata dell’evento morboso sulla base del certificato medico.
Attualmente, come detto in premessa:
- i dipendenti pubblici devono essere reperibili dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00, inclusi i giorni non lavorativi, domeniche e festivi,
- mentre per i dipendenti privati, la fascia di reperibilità è dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 17:00 alle 19:00.
Cosa accadrà ora
Le conclusioni di questa sentenza hanno un impatto significativo sia sul settore pubblico che su quello privato in Italia. L’annullamento parziale del decreto ministeriale “Madia” indica chiaramente che le differenze nelle fasce di reperibilità tra i due settori non possono essere mantenute, poiché contravvengono ai principi costituzionali di uguaglianza tra i cittadini.
Inoltre, la decisione del Tar del Lazio ha sottolineato l’importanza del rispetto del diritto dei lavoratori alla tutela della loro salute. La Costituzione italiana riconosce la salute come un diritto fondamentale e la Repubblica è tenuta a garantire cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario specifico se non per disposizione di legge. Pertanto, il tentativo di scoraggiare i dipendenti dal richiedere il congedo per malattia attraverso fasce di reperibilità estese è stato considerato contrario alla tutela della salute sancita dalla Carta costituzionale.
Quella fascia di reperibilità, come detta, dipende da un decreto ministeriale approvato durante il governo Gentiloni, quando la titolare della Pubblica amministrazione era Marianna Madia. Bisogna specificare un aspetto: anche prima del 2017 le norme erano penalizzanti per il settore pubblico, tuttavia il decreto Madia si poneva l’obiettivo proprio di armonizzare le regole. Ma non lo ha fatto, e il motivo è soprattutto politico. La legge delega di riforma della pubblica amministrazione, infatti, è arrivata ad agosto del 2015, e ha avuto il via libera dal Consiglio dei ministri guidato da Matteo Renzi.
Due mesi dopo, a ottobre 2015, fece molto scalpore l’immagine di un vigile urbano di Sanremo che timbrava il cartellino in mutande, circostanza che fece scaturire un’inchiesta penale (poi finita con l’assoluzione dell’agente). In quei giorni, Matteo Renzi giurò guerra ai furbetti del cartellino: “Questa è gente da licenziare in 48 ore – disse – è una questione di dignità”. Ecco perché anche le norme di dettaglio sono state dettate da quella impostazione. Quindi, muovendo dalla convinzione per cui un dipendente pubblico sia più incline alle assenze per falsa malattia, il governo non ha ridotto le fasce di reperibilità per i dipendenti pubblici, cosa che pure andava fatta per non incorrere in una bocciatura come poi è avvenuta.
“La mancata armonizzazione – dice il Tar – ha altresì determinato una disparità di trattamento tra settore pubblico e settore privato, a parere del Collegio, del tutto ingiustificata, considerato che un evento come la malattia non può essere trattato diversamente a seconda del rapporto di lavoro intrattenuto dal personale che ne viene colpito. Ne è quindi derivata la violazione dell’articolo 3 Costituzione, non essendo rispettato il principio di uguaglianza”. “Il mantenimento delle differenziate fasce orarie, con una durata complessiva, per il settore pubblico, quasi doppia rispetto a quella del settore privato (7 ore a fronte di 4 nell’arco di una giornata) è indicativo anche di uno sviamento di potere”.
Secondo il governo, serviva a rendere più “incisivi” i controlli. Questo, secondo i giudici amministrativi, “è una dimostrazione del fatto che si parte dall’idea che per il settore pubblico servano controlli rafforzati. Tali controlli ripetuti, associati ad una restrizione delle ipotesi di esclusione dall’obbligo di rispettarle, sembrano piuttosto diretti a dissuadere dal ricorso al congedo per malattia, in contrasto con la tutela sancita dalla Carta costituzionale dall’articolo 32”. Il Fatto Quotidiano ha provato, senza riuscirci, a ottenere un commento sulla sentenza da parte dell’ex ministra Marianna Madia.