Un passo indietro lungo dieci anni. Al 2014, quando il rapporto tra la spesa per il servizio sanitario nazionale e il Pil si è fermato al 6,4%, lo stesso livello fissato dal governo Meloni per l’anno prossimo. Eccolo il grande taglio alla sanità. Che la premier prova a coprire con la narrazione dei «tre miliardi in più», lo stanziamento inserito nella legge di bilancio. Sostiene, ed è vero, che con quasi 136 miliardi «si raggiunge il più alto investimento mai previsto». Ed è altrettanto vero che senza i tre miliardi, la spesa nel 2024 rimarrebbe inchiodata a 133 miliardi, retrocedendo rispetto all’ammontare previsto per quest’anno (134,7 miliardi). Ma il valore effettivo della spesa è in caduta libera, a causa dell’inflazione. Insomma vale meno.
È una Finanziaria che tagliasulla sanità anche perché non investe dove è necessario. I soldi, seppure pochi, meno di quelli che il ministro della Salute Orazio Schillaci aveva chiesto al Mef, ci sono. Ma non vanno alle assunzioni. E così gli ospedali resteranno sguarniti dei 15 mila medici e dei 65 mila infermieri che invece servirebbero. Un paradosso se si legge il titolo del pacchetto della Finanziaria dedicato alla sanità: “Misure per il potenziamento del sistema sanitario”.
Il potenziamento degli organici non c’è perché il tetto alla spesa per il personale non è stato rimosso, tantomeno modificato. E così le Regioni potranno di fatto spendere la stessa cifra che hanno impiegato nel 2004, tra l’altro ridotta dell’1,4 per cento. Nelle strutture ospedaliere non ci saranno più camici bianchi rispetto ad oggi perché i tre miliardi vanno altrove. Quasi tutti, circa 2,4, al rinnovo dei contratti. Per l’anno prossimo restano 600 milioni “vivi”, quasi tutti assorbiti da due misure, criticate per ragioni diverse dagli addetti ai lavori dell’Ssn, che per il governo permetteranno di abbattere le liste d’attesa.
I numeri emergono dalla relazione tecnica che accompagna la manovra: per l’aumento degli straordinari (fino a 100 euro lordi all’ora per i medici, 60 per gli infermieri) serviranno 280 milioni. Circa 123 milioni (salgono a 368 nel 2025 e 490, a regime, a partire dall’anno successivo) andranno ai privati accreditaticon il Servizio sanitario nazionale. Briciole (appena 50 milioni l’anno prossimo) all’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (Lea). Un investimento c’è. È quello per il potenziamento dell’assistenza territoriale. Il tentativo è riuscire lì dove il Pnrr ha in parte fallito, come ha ammesso lo stesso governo nella revisione del Piano, rinunciando a 414 Case della comunità e a 96 Ospedali di comunità. Ma le risorse sono poche. Troppo poche per un disegno organico che così non riesce a prendere forma.