Stefano Simonetti, Il Sole 24 Ore sanità. Ora che il testo del Ddl per il Bilancio 2024 avvia il suo iter in Parlamento, si possono fare alcune osservazioni di merito non più fondate su proclami e propaganda ma su elementi oggettivi e formali: e, in questo, caso il re è nudo, nel senso che tutto quello che era stato genericamente e vagamente accennato è diventato ormai palese. Vediamo in dettaglio di cosa si tratta, a parte le norme restrittive sulle pensioni rispetto alle quali sono già state formulate accuse roventi da parte dei sindacati medici. In proposito, alcune settimane fa avevo avuto notizia di domande di pensione inoltrate in fretta e furia da parte soprattutto di primari ospedalieri che, evidentemente, avevano la percezione della manovra. In tal modo, aumenterà esponenzialmente la fuga dei medici dalla Sanità pubblica perché a quelli che vanno all’estero, ai laureati che non si iscrivono ai corsi di specializzazione, ai concorsi deserti, a tutti quelli che sono esausti per il superlavoro si aggiungono ora gli ultrasessantenni che, potendo ancora farlo, tentano di salvare una pensione minimamente decente.
Procediamo con ordine.
Art. 5 = la circostanza che questa disposizione si applichi anche ai dipendenti pubblici è evidente per via dell’indicazione “rapporti di lavoro dipendente” con la sola espressa esclusione dei “rapporti di lavoro domestico”. L’esonero parziale dei contributi previdenziali è senz’altro una leva interessante per il potere d’acquisto dei salari: peccato che nelle aziende sanitarie della misura ne beneficeranno veramente in pochi. La soglia di 35.000 euro annui è ampiamente superata da tutti i dirigenti ma anche da tutto il personale inquadrato nella Area quarta, cioè in pratica da circa 450.000 lavoratori.
Art. 6 = la tematica disciplinata in questo articolo è quella dei benefici fiscali per il welfare aziendale. La questione è tanto interessante quanto complicatissima ed era stata già stata affrontata su questo sito il 14 giugno scorso. Continuo a ritenere che la disposizione sia applicabile anche ai pubblici dipendenti e gli interventi del datore di lavoro descritti in questo articolo rientrano pienamente nella fattispecie di cui all’art. 57, comma 1, lettera e), della Preintesa del Ccnl dell’Area Sanità siglata il 28 settembre scorso. Il punto citato – innovativo rispetto alla clausola contrattuale precedente – prevede proprio “altre categorie di beni e servizi che, in base alle vigenti norme fiscali, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente”.
Art. 7 = la polemica riguardo alla detassazione dei premi di risultato viene da lontano e per l’ennesima volta sono costretto a ricordare l’impegno del Governo assunto nel Patto per il lavoro del 10.3.2021 e mai realizzato. Purtroppo però, rispetto all’interpretazione positiva fornita sopra per l’art. 6, in questo caso la chiusura è piuttosto netta perché alla norma richiamata (art. 1, comma 182, della legge 208/2019) segue il chiarimento di cui al successivo comma 186 che chiaramente precisa che “le disposizioni di cui ai commi da 182 a 185 trovano applicazione per il settore privato”.
Art. 9 = in realtà i destinatari del beneficio sono del tutto diversi dal personale della Sanità ma il problema sta proprio in questo: se il Governo ha ritenuto di intervenire a supporto della “stabilità occupazionale” e della “eccezionale mancanza di offerta di lavoro”, come si fa a non pensare che medici e infermieri siano i perfetti soggetti protagonisti per le due causali addotte?
Art. 10 = norma confusa e difficile da decifrare. Tanto per cominciare i tre miliardi indicati sono indistinti ed è quindi impossibile comprendere la suddivisione tra i comparti e le aree. Quello che sembra chiaro è che l’importo si riferisce sia al personale contrattualizzato che a quello in regime di diritto pubblico. L’utilizzo del verbo “sono incrementati” è improprio perché il comma cui si fa riferimento parlava degli anni 2022 e 2023 mentre lo stanziamento per il 2024 diventa di 5.000 mln sommandolo a quello dell’art. 3 del Dl 145/2023 – peraltro ancora da convertire in legge – e rimane tale nel 2025, anno di presunta entrata a regime del rinnovo contrattuale 2022-2024. Ovviamente tutte le cifre sono al lordo, per cui occorre togliere circa il 37%. Dal comma 2 si comprende come va inteso il provvedimento d’urgenza del 18 ottobre e cioè che la cosiddetta supertredicesima può essere pagata a dicembre 2023 ma anche spalmata nel 2024. Passiamo al comma 3 dove si parla della Sanità. Per la omologazione alla disposizione per gli “statali”, si ricorre al presente indicativo (“sono incrementati”) mentre ricordo che nel Dl della settimana scorsa nel comma 3 dell’art. 3 si diceva “possono”, a testimoniarne la discrezionalità. Ma c’è una variabile: non si precisa più “con le modalità e nella misura in cui” ma si dice semplicisticamente “sulla base dei criteri”, locuzione che, se parliamo di risorse finanziarie, non vuol dire francamante nulla. Nel comma 5 si fa una affermazione che non si sa se definire ridondante o inutile tanto è scontata.
Art. 41 = nell’articolo viene trattato il rifinanziamento del S.s.n. cioè l’incremento di quello che per sintesi viene chiamato il “Fondo sanitario nazionale”. In questo caso il velo è stato finalmente tolto: il finanziamento non viene indicato in termini monetari assoluti come sempre avvenuto in passato (“Il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato è determinato in … milioni di euro”) ma si va per aggiunte, cioè si deve sommare ai 2,3 mld già previsti dal comma 535 della legge 197/2022 il nuovo stanziamento di 3 mld. Premesso che in tal modo è particolarmente difficoltosa la ricostruzione, nel 2024 si passerà dai 128.869 mln del 2023 a 134.169 mln con un incremento pari al 4,1%. L’inflazione tendenziale 2023 comunicata dall’Istat a fine settembre era del 5,7% per cui, nel merito dei numeri, ciascuno è in grado di fare le proprie valutazioni. Ma non basta, perché l’ulteriore importo di 3 miliardi è comprensivo “anche” di:
• oneri per i rinnovi contrattuali – sia della dipendenza che dei convenzionati – relativi al triennio 2022-2024. Si dice da parte di qualcuno che siano riservati a questa voce 2,4 mld ma non ci sono evidenze sul dettaglio;
• 280 mln per l’aumento della tariffa delle prestazioni aggiuntive;
• aumento del 6,7% dei tetti della spesa farmaceutica convenzionata;
• oneri per la distribuzione diretta dei medicinali nelle farmacie, complessi da quantificare ma è plausibile che si ridurrà parecchio lo sconto del 50% sui farmaci di fascia H di cui godevano le aziende sanitarie;
• 527 mln gentilmente offerti al privato accreditato;
• incremento dell’1% sulla spesa “consuntivata” per il 2011 per gli acquisti di prestazioni da privati che era stata ridotta nel 2012;
• 50 mln per l’aggiornamento dei Lea;
•10 mln per le cure palliative.
Art. 42 = si confermano e si prorogano a tutto il 2026 le disposizioni della legge 56/2023 sulle prestazioni aggiuntive; vengono inoltre estese a tutti servizi e non più soltanto all’emergenza-urgenza. Stiamo parlando di 100 euro l’ora lordi e omnicomprensivi. La disposizione appare assolutamente inutile perché è già prevista dall’art. 89, comma 4, della Preintesa del Ccnl del 28 settembre che evidentemente gli estensori della norma non conoscono. Ma, a parte questo, è singolare che il comma 1 si chiuda con la prescrizione che “restano ferme le disposizioni vigenti in materia ….. orario massimo di lavoro e ai prescritti riposi”. Non è bastata la vergogna per quello che è successo al Policlinico di Bari: evidentemente qualcuno non sa di cosa stiamo parlando. Se la settimana lavorativa non può eccedere come media semestrale le 48 ore (art. 4 del d.lgs. 66/2006) e se è obbligatorio il riposo biologico giornaliero di 11 ore (art. 4), ci si chiede quando possono essere svolte le prestazioni aggiuntive, alla luce delle sacrosante preoccupazioni dei responsabili rispetto alle sanzioni amministrative ma anche – direi giustamente – in relazione al diritto soggettivo all’Alpi. Delle due l’una: o si normava una esplicita, motivata deroga alla normativa comunitaria o si prende atto che con le prestazioni aggiuntive non si risolve molto rispetto alle liste d’attesa.
Art. 50 = Infine, il colpo di scena finale. Cioè che all’interno degli incrementi del fondo e a valere nel 2025 e 2026 (in questo caso, rispettivamente 4.000 e 4.200 milioni), viene finanziata, in pratica con pochi spiccioli, la messa a terra del Pnrr “con riferimento ai maggiori oneri per la spesa di personale dipendente”. Basterebbe soltanto segnalare che per realizzare tutti gli interventi della Missione 6 del Piano serviranno almeno 36.000 nuovi infermieri, a tacere delle altre professionalità. O è uno scherzo oppure aveva davvero ragione la Regione Campania quando il 21 aprile 2022 non firmò l’Intesa Stato/Regioni prodromica alla adozione del Dm 77/2022.
Insomma, si contano almeno 3 o 4 locuzioni “a valere” e non si può non rilevare che una buona metà delle disposizioni presenti nel Ddl sono sostanzialmente inutili o insufficienti. Non so se con queste disposizioni si potenzierà o addirittura si salverà la Sanità pubblica, ma è certo che saranno molto soddisfatti i privati accreditati e le farmacie: molto meno il personale dipendente, suppongo. A proposito, che fine ha fatto la tanto sbandierata detassazione degli straordinari?