Eppure ci sono forze fresche a cui il Servizio sanitario nazionale potrebbe attingere a piene mani risparmiando pure: sono gli oltre 35mila specializzandi (quelli iscritti dal secondo anno in poi) che, come previsto dal decreto bollette di maggio scorso, possono essere assunti con contratti a tempo determinato in corsia dove possono completare la loro formazione o, in alternativa, assumendo incarichi libero professionali per un massimo di 8 ore settimanali per lavorare nei pronto soccorso, i più vicini al collasso per mancanza di personale. Quella degli specializzandi sarebbe una soluzione non “tampone” come è invece il ricorso ai gettonisti, che tra l’altro come previsto sempre dal decreto bollette entro fine anno dovrebbero non essere più impiegati nelle corsie degli ospedali. Il problema è che solo pochi, meno di uno su dieci (circa 2.500), vengono effettivamente arruolati: a frenare sono le università con le loro scuole che formano gli specializzandi e mettono paletti perché secondo i più critici gli atenei non vogliono vedersi sottrarre «manodopera a basso costo».
«Nonostante le norme prevedano l’assunzione dei medici specializzandi, quasi tutti gli atenei applicano una moral suasion per convincerli a non essere assunti. Abbiamo raccolto decine e decine di casi: dal non rispetto delle norme sul nullaosta alle minacce più o meno velate di ritorsioni all’esame di passaggio d’anno arrivando addirittura alla bocciatura finale», avverte Giammaria Liuzzi di Anaao Giovani, la principale sigla degli ospedalieri. Che insieme alle associazioni degli specializzandi chiedono che si arrivi direttamente a un nuovo contratto-formazione con diritti e doveri come i medici senior e con retribuzioni e responsabilità crescenti.
Va detto che quello tra ospedali Ssn e Università è un braccio di ferro storico che va ammorbidendosi davanti alla grande fuga di professionisti. «Se registriamo ancora un opporsi dell’Università all’attività lavorativa degli specializzandi, contemporaneamente oggi in quel mondo c’è anche chi è pronto a cambiare, consapevole che determinate prerogative non sono più attuali. Che non è pensabile che lo specializzando faccia capo soltanto al ministero dell’Università e che magari dal terzo anno debba entrare nel Ssn», spiega Fabio De Iaco, presidente della Società di medicina di emergenza-urgenza (Simeu). «Davanti a un aumento degli accessi nei pronto soccorso italiani stimabile tra il 5 e il 10% anche quest’anno – continua – e con appena il 30% di copertura dei posti nella nostra scuola di specializzazione, se andiamo avanti così tra 5 anni chiuderemo i battenti e gli universitari lo sanno».
Frena però sull’impiego degli specializzandi come gettonisti il presidente della Conferenza permanente delle facoltà di Medicina e delle Scuole di Medicina e Chirurgia Carlo Della Rocca: «Immaginare i colleghi in formazione come dipendenti – dice – equivale a sminuire la loro formazione: sono nelle corsie per essere tutorati, tutelati e formati, non per lavorare sostituendo il medico strutturato, cosa che è vietata dalla legge. Negli anni soprattutto del Covid sono state introdotte soluzioni d’emergenza dovute a una contingenza eccezionale ma questa non può diventare la regola. La contrattualizzazione potrebbe avere senso solo dall’ultimo anno di specializzazione, quando si ha una certa autonomia e per accelerare l’ingresso nel mercato del lavoro. Averla anticipata al secondo anno è indecente e non ha senso: non si va verso una maggiore sicurezza del Ssn ma verso un ulteriore sfruttamento dei colleghi. Ai quali – sottolinea Della Rocca – piuttosto servirebbe un contratto, in sostituzione della “borsa”, dignitoso dal punto di vista sia economico sia di tutele come maternità e malattia, fino a incentivi per le attività oggi meno attrattive come la medicina d’urgenza».
Il Sole 24 ore
Marzio Bartoloni