La Stampa. Non c’è solo l’innalzamento del requisito dell’età anagrafica da 62 a 63 anni col passaggio da Quota 103 a Quota 104 ma la stretta è ancora più severa, perché le finestre di uscita passano da 3 a 6 mesi per il settore privato e da 6 a 9 mesi i pubblici, ma soprattutto pur avendo già 41 anni di contributi si dovrà in qualche modo «pagare dazio» per accedere al pensionamento anticipato perdendo in media anche 100 euro lordi al mese.
Incentivi e disincentivi
Stando infatti alla prima bozza della nuova legge di bilancio circolata martedì sono previste sia forme di incentivo usufruendo del «bonus Maroni» (che lascia in busta paga l’intera quota di contributi previdenziali al netto però del taglio del cuneo) per chi pur avendo maturando il diritto ad accedere a Quota 104 resta comunque il lavoro; sia un meccanismo di disincentivo che attraverso il ricalcolo della quota contributiva della pensione può arrivare a tagliare questa fetta dell’assegno anche del 12%. Addirittura per alcuni dipendenti pubblici come gli iscritti alle ex casse dei dipendenti degli enti locali e della sanità o gli insegnanti delle scuole parificate la rimodulazione dei rendimenti, sempre sulla quota retributiva, può comportare un taglio del 20% a prescindere dalla modalità di uscita dal lavoro.
«Il governo disattende tutte le promesse elettorali fatte, anche sulle pensioni: non c’è niente per i giovani, c’è un netto peggioramento per le donne. E si penalizza chi ha un percorso di lavoro più fragile: i manager andranno prima in pensione rispetto a chi lavora nelle ditte di pulizia in virtù dell’aumento della soglia sulla pensione sociale, passata a 3,3 volte. Si fa cassa sulle pensioni e viene meno l’impegno di superare la legge Fornero» ha protestato ieri la segretaria confederale Cgil con la delega sulle pensioni, Lara Ghiglione. «Penalizzazioni senza alcuna visione» le ha invece definite la vicepresidente dei senatori Pd, Anna Rossomando.
Il peso dei tagli
Ma veniamo ai numeri. Chi vorrà utilizzare Quota 104 e lasciare il lavoro a 63 anni dovrà mettere in conto il ricalcolo dell’intera quota contributiva della propria pensione, ovvero i versamenti effettuati prima del 1996 e sino a tutto il 2012 (quando la legge Fornero ha abrogato la regola) per quanti a fine ’95 potevano vantare già 18 anni di contribuzione. Il taglio, che sul piano tecnico è basato sul rapporto tra il coefficiente di trasformazione per l’età di uscita e quello dell’età di vecchiaia, in pratica sarà proporzionale agli anni di anticipo del pensionamento rispetto a 67 anni dell’età standard per la pensione di vecchiaia e colpirà quanti al momento della richiesta di anticipo avranno tra i 63 ed i 66 anni. Uscendo a 63 anni si subirà un taglio pari a quasi il 12 per cento della quota contributiva della propria pensione, a 64 si perderà invece il 9,2, il 6,4 a 65 anni ed il 3,3 per chi arriva a 66 anni.
Cento euro in meno
In pratica uscendo a 63 anni, in anticipo di 4 anni rispetto al requisito della pensione di vecchiaia, si avrà una decurtazione pari a circa il 4% dell’intero assegno posto che la quota contributiva pesa in media per il 30% dell’assegno di quiescenza. Nel caso di una pensione da 2.500 lordi al mese si perderebbero in pratica circa 100 euro che scendono a 69 con un anticipo di 3 anni, a 48 con due e a 25 con uno solo.
Scure su sanità ed enti locali
Per i lavoratori che appartengono alle ex casse degli enti locali (Cpdl) e a quelle di sanitari (Cps), insegnanti di asili nido e scuole elementari parificate (Cpi)e ufficiali giudiziari e coadiutori (Cpug), invece, si profila un taglio ancora più pesante per il calcolo degli assegni. Per queste categorie di lavoratori, infatti un altro articolo della bozza della manovra prevede una rimodulazione delle aliquote di rendimento per chi al 31 dicembre 1995 aveva una anzianità retributiva inferiore a 15 anni. Secondo le stime elaborate dalla Confederazione dei medici e dei dirigenti, che in una nota «invita tutte le forze sindacali a mobilitarsi per sventare questa ennesima discriminazione» il taglio potrebbe arrivare sino al 23,8% della quota retributiva per chi al 31.12.94 non aveva versamenti precedenti, per scendere al 20% con 2 anni, al 14,7 con 5, e poi al 6,8 con 10 ed arrivare a zero con 15 anni di contributi.
Monta la protesta
La Cosmed parla esplicitamente di «colpo di mano». «Le pensioni – sostiene il suo segretario generale, Giorgio Cavallero – non sono un regalo per i dipendenti: tutti i contributi sia di parte datoriale che a carico dei dipendenti vengono da sempre sottratti dalle risorse contrattuali», per cui tagliarli «significa manomettere le regole e non rispettare le condizioni di rendimento previste per coloro che hanno riscattato i periodi di studio sulla base di una tabella che adesso viene cambiata. Sarebbe come se dopo aver acquistato un titolo di Stato con un determinato tasso di rendimento fisso, in corso d’opera venisse ridotto. Uno Stato e un governo credibile e responsabile non lo può fare – conclude Cavallero -. Tutto ciò è inaudito e sarà fonte di un infinito contenzioso». —
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