La “tassa” da destinare al riequilibrio delle prestazioni pubblico-private e al taglio delle liste d’attesa non è dovuta dal medico ospedaliero alle Asl sia a titolo di arretrati sia per il futuro
La “tassa” del 5% da destinare al riequilibrio delle prestazioni pubblico-private e al taglio delle liste d’attesa non è dovuta dal medico ospedaliero esercente attività libero professionale intramuraria né agisce automaticamente per legge. Va invece inserita nei contratti e posta a carico del paziente-pagante. Lo afferma una recentissima sentenza della Cassazione sull’interpretazione della legge 189/2012, la riforma della sanità voluta dall’allora ministro Renato Balduzzi. I medici non devono quindi le migliaia di euro che erano state loro richieste dalle Asl sia a titolo di arretrati sia per il futuro.
Il malessere tra i medici aveva raggiunto il culmine questa primavera. «Siamo vessati da continue mail delle direzioni generali che ci chiedono indietro soldi non dovuti, della legge Balduzzi, risalenti a 10 anni fa», scrivevano lo scorso maggio gli ospedalieri del sindacato Anaao Assomed. La Regione Piemonte chiedeva ai dirigenti che esercitavano la professione intramoenia il 5% dei proventi di destinarli agli enti datori di lavoro con l’obiettivo di recuperare le liste d’attesa. Le somme erano richieste retroattivamente, da quando vigeva la legge 189: una decina d’anni. Sommando tutti gli arretrati, non erano indifferenti: c’era stata una causa e Anaao Piemonte aveva fatto esposti alla procura del lavoro, affermando che quel 5% non fosse dovuto. Per inciso, anche la Corte dei Conti aveva osservato che la percentuale in precedenza non era mai stata reclamata.
Ora la Corte di Cassazione dà ragione alle posizioni dei medici. La legge in effetti prevede un aumento del 5% del compenso libero-professionale dei medici da accantonare per iniziative d’abbattimento delle liste d’attesa; ma le Asl e le aziende ospedaliere hanno tardato a recepirla. E il problema non è solo quello. «Anaao Assomed ha sempre sostenuto che questa richiesta fosse illegittima, perché il 5% andava sommato al compenso del professionista e non detratto dallo stesso», recita il comunicato della sigla guidata dalla Segretaria Chiara Rivetti. «Inoltre l’applicazione della legge con la trattenuta Balduzzi doveva essere successiva ad un accordo sindacale che nelle varie aziende è stato poi concluso successivamente».
Una particolarità. La sentenza sull’illegittima richiesta del 5% della Balduzzi non riguarda solo il contenzioso con Anaao in Piemonte, ma coinvolge un’analoga causa sostenuta in Lombardia e «tanto attesa perché rappresenta un precedente giurisprudenziale di fondamentale importanza per tutte le cause di primo grado del Piemonte. Il massimo tribunale ha sentenziato, in via definitiva e con cristallina chiarezza, che debba escludersi che l’azienda sanitaria possa applicare la trattenuta in difetto di previo accordo in sede di contrattazione integrativa». Ha inoltre sentenziato «che il 5% aziendale da accantonare per l’abbattimento delle liste d’attesa (c.d. 5% della Balduzzi) dovesse essere chiesto ai pazienti, applicando l’incremento dell’onorario previsto dalla Legge». Ora si attende che i tribunali del Piemonte e lombardi recepiscano la sentenza.