Nella manovra spunta una norma per permettere al lavoratori di diminuire i versamenti pubblici a favore della previdenza integrativa
Le poche righe sono sfuggite all’ attenzione, ma tra i vari commi della riforma delle pensioni predisposta dal ministro del Welfare, Elsa Fomero, ce n’è sicuramente uno che farà discutere. «Saranno analizzate entro il 31 dicembre del 2012», si legge al comma 28 dell’articolo 24 della manovra salva-Italia, «eventuali forme di decontribuzione parziale dell’aliquota contributiva obbligatoria verso schemi previdenziali integrativi, in particolare a favore delle giovani generazioni». Di che si tratta? «È una vecchia idea della Fomero che considero del tutto condivisibile», ha spiegato a MF-Milano Finanza Giuliano Cazzola, deputato del Pdl esperto di previdenza, «la proposta consiste nel consentire a un lavoratore che si trova nel quadro del sistema contributivo ma non ha il tfr o altre risorse da destinare ai fondi pensione di poter accedere alla previdenza complementare». La norma riguarderebbe quindi soprattutto i lavoratori della gestione separata dell’Inps. Oggi nella casse dell’Istituto di previdenza sociale finisce il 27% della loro retribuzione. In un progetto di legge già depositato da qualche anno in Parlamento, Cazzola aveva proposto di permettere a questi lavoratori di destinare fino al 6% di questa quota a un fondo pensione o a un’assicurazione. In un saggio pubblicato diversi anni fa dal ministro Fomero insieme ad Onorato Castellino, quella percentuale
veniva invece ipotizzata fino all’8%. Si tratterebbe in pratica di uno swap tra pensione pubblica e pensione integrativa, con alcuni vantaggi per i lavoratori. «Versare i contributi a una forma di pensione integrativa invece che all’Inps potrebbe convenire di pia al lavoratore», ha spiegato Cazzola, «perché il rendimento della pensione pubblica è legato al pil nominale». In caso di recessione, come quella che si preannuncia, l’assegno previdenziale del lavoratore sarebbe quindi penalizzato. Fondi pensione e assicurazioni hanno invece la possibilità di investire per restituire al lavoratore un rendimento maggiore. In realtà ci sono alcuni punti delicati in questa proposta. Il primo riguarda l’equilibrio dei conti dell’Inps. In un sistema a ripartizione, come quello italiano, gli avanzi della gestione separata sono largamente utilizzati per coprire i buchi di altri comparti. «La norma si prede carico di questo aspetto», ha aggiunto Cazzola, «visto che stabilisce il concerto degli enti gestori di previdenza obbligatoria nell’attuazione del progetto. Inoltre è prevista la necessità di tutelare gli equilibri di finanza pubblica». L’altro punto delicato è il rischio legato all’adeguatezza dell’assegno pensionistico se qualcosa dovesse andare per il verso storto. Il problema dovrebbe essere risolto chiedendo ai fondi e alle assicurazioni di predisporre delle linee garantite come avviene per il tfr, in modo da non assumere rischi eccessivi sulle spalle dei lavoratori. (riproduzione riservata)
Milano Finanza – 20 dicembre 2011