L’armonizzazione dell’età, delle aliquote e delle modalità di calcolo delle prestazioni previdenziali rappresenta uno del pilastri della riforma voluta dal Governo. Ma non è un obiettivo semplice….
La riforma è contenuta nel decreto legge salva-Italia, già votato alla Camera la scorsa settimana e ora all’esame del Senato per l’approvazione definitiva, attesa entro Natale.
Naturalmente, rendere omogeneo un sistema previdenziale stratificato, frammentato e articolato come quello italiano non è cosa semplice. E, soprattutto, non è cosa che si possa fare dalla sera alla mattina. In particolare, parlando di requisiti per l’accesso alla pensione sulla base dei due “nuovi” canali principali, la prospettiva è di arrivare all’armonizzazione nel giro di alcuni anni. Non così tanti, anzi pochi – in effetti – per la pensione anticipata, che già dal 2012 vedrà debuttare il nuovo requisito dei 42 anni e un mese (un anno in meno per le donne), con il meccanismo della penalizzazione per chi non ha ancora compiuto i 62 anni.
Prospettiva di armonizzazione che sarà, invece, decisamente più lunga per la pensione di vecchiaia nei confronti delle lavoratrici dipendenti e autonome del settore privato, dove solo nel 2018 si arriverà – per tutti – al requisito dei 66 anni di età (e poi di almeno 67 anni nel 2021). Occorre, poi, mettere in conto anche l’adeguamento alla speranza di vita che allungherà tutti questi requisiti contributivi.
Certo, limitando sempre il discorso al tema dei requisiti di accesso, i prossimi anni saranno quanto mai ricchi di deroghe, eccezioni, esclusioni. Le quali – come è logico attendersi – producono effetti molto diversi a seconda dei soggetti ai quali sono di volta in volta destinate.
È come se – riproponendo la ripartizione spesso citata dal l’attuale ministro del Lavoro, Elsa Fornero, a proposito dell’esito e delle iniquità della riforma Dini del 1995 (quella che, tra l’altro, introdusse il sistema contributivo escludendo però i lavoratori con almeno 18 anni di contributi entro il 31 dicembre 1995) – si creassero tre categorie di soggetti:
– i “salvati”, cioè coloro ai quali la riforma prevista dal decreto legge 201/2011 non si applica;
– i “parzialmente salvati”, cioè quelli che ottengono qualche forma di deroga e beneficio;
– i “penalizzati”, quelli cioè che subiscono interamente l’applicazione delle nuove e più restrittive regole (il dettaglio delle tre situazioni è nella scheda di sintesi pubblicata a lato).
Il tutto non senza stranezze e disparità, almeno in apparenza, poco comprensibili. Due casi su tutti.
Primo: è difficile capire perché sia concesso solo ai lavoratori dipendenti del settore privato che entro il 31 dicembre 2012 maturano i “vecchi” requisiti dell’anzianità (minimo 35 anni di contributi e 60 di età, con “quota” pari a “96” e cioè 36 anni di contributi più 60 anni di età), e non anche ai dipendenti pubblici, la possibilità di accedere a una forma limitata di pensionamento anticipato che scatta al compimento dei 64 anni (e non 66 come previsto dalla norma a regime).
Secondo: ancora, non si capisce perché mentre per la pensione di vecchiaia l’età di uscita di dipendenti e lavoratori autonomi viene uniformata subito (eliminando l’attuale differenza di sei mesi dovuta alle finestre: secondo la relazione tecnica si tratta di 25/30mila soggetti che avranno un anticipo medio di sei mesi circa del pensionamento), altrettanto non si fa per la vecchiaia delle donne del settore privato, dove tra lavoratici dipendenti e lavoratrici autonome rimangono fino al 2018 i soliti sei mesi di differenza, a sfavore delle lavoratrici autonome (si tratta di circa 110mila lavoratrici: 68mila dipendenti e circa 42mila autonome per il 2012).
A ogni modo va evidenziato che per tutti – salvati o meno – scatta l’applicazione del calcolo contributivo per i versamenti successivi al 1° gennaio 2012, sistema che in moltissimi casi porterà penalizzazioni.
A non fare sconti a nessuno sarà anche il meccanismo di adeguamento alla speranza di vita che determina l’allungamento sia dei requisiti contributivi sia dell’età anagrafica. Verrà applicato per la prima volta nel 2013 (tre mesi in più su tutti i requisiti), poi ogni tre anni fino al 2019, dopo di che l’adeguamento diventerà biennale. Va aggiunto che il sistema dell’adeguamento si applicherà anche ai soggetti esclusi dalle nuove norme (a esempio, chi è in mobilità oppure in prosecuzione volontaria). Sempre in base alla relazione tecnica, l’adeguamento alla speranza di vita interesserà circa 135/140mila soggetti nel 2013, numero destinato a crescere negli anni successivi per effetto dell’intreccio con altri meccanismi di allungamento dei requisiti.
ilsole24ore.com – 19 dicembre 2011