Chi dal 1° gennaio 2012 andrà in pensione prima dei 62 anni di età utilizzando il canale contributivo dei 42 anni e un mese per gli uomini e dei 41 anni e un mese per le donne subirà una penalizzazione del 2% per ogni anno di anticipo sulla quota retributiva dell’importo dell’assegno.
A fissare definitivamente l’entità dei disincentivi sulle uscite anticipate è il testo finale del decreto sulla manovra, che conferma anche il blocco per il prossimo biennio della rivalutazione dei trattamenti ad esclusione di quelli sotto i 935 euro (una e due volte il “minimo”) per i quali l’indicizzazione resta totale.
Un blocco che nel 2012 e 2013 potrebbe coinvolgere fino a 6 milioni di pensioni, mentre sarebbero circa 200mila i lavoratori a rischiare il prossimo anno il rinvio della pensione per effetto delle nuove regole introdotte dal Governo.
Un piano che, come hanno ribadito ieri il premier Mario Monti e il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, è orientato «all’applicazione di principi di equità, trasparenza, semplificazione e solidarietà sociale», e che tra i suoi obiettivi ha quello di giungere nel 2035 a pensioni esclusivamente contributive. Tre i pilastri: l’adozione dal 1° gennaio 2012 del contributivo pro rata per tutti; il superamento delle “anzianità” e del sistema di uscite a finestre; l’innalzamento della soglia di vecchiaia con il ricorso a un sistema flessibile di uscite da 66 a 70 anni, immediato per gli uomini e le dipendenti pubbliche e dal 2018 per le lavoratrici private.
Queste ultime vedranno prima salire il requisito di vecchiaia a 62 anni (63 anni e sei mesi per le lavoratrici autonome) il prossimo anno e poi a 63 anni e sei mesi nel 2014 e a 65 anni nel 2016. In altre parole, il sistema flessibile di uscite sarà più lungo per le lavoratrici private (62-70 anni, almeno fino al 2018) rispetto a quello degli uomini e delle dipendenti statali (66-70 anni). L’incentivo a posticipare il più possibile il pensionamento sarà collegato alla miscela del “contributivo per tutti” con l’applicazione dei coefficienti di trasformazione (dai quali dipende l’importo degli assegni) fino a 70 anni di età.
Tutti i requisiti già nel 2013 potrebbero essere spostati ulteriormente più avanti di tre mesi per effetto del meccanismo dell’aggancio alla speranza di vita che resta in vigore. In ogni caso già nel 2021 la soglia di vecchiaia dovrà lievitare per tutti da 66 a 67 anni.
Con la scomparsa dei trattamenti di anzianità esistiti fino ad oggi e del sistema delle quote (somma di età anagrafica e contributiva), che dovrebbe rimanere operativo solo per i lavoratori impiegati in attività usuranti, resterà un sola possibilità di anticipare il pensionamento: il possesso, a prescindere dell’età anagrafica, di 42 anni e un mese di contribuzione (41 anni e un mese per le donne), con l’ulteriore aumento di un mese nel 2013 e nel 2014. Per beneficiare di una pensione “piena” occorrerà però avere anche 62 anni di età, in caso contrario scatteranno le penalizzazioni.
Una sorta di quota 104 “indotta”, molto più alta della quota 96 con cui oggi si va in pensione di anzianità, che fotografa la portata della riforma Fornero-Monti. La classe che rischia di essere più penalizzata dalle nuove regole previdenziali sembra essere quella del 1952: chi compie 60 anni nel 2012 si ritrova, se donna, con l’aumento dell’età di vecchiaia e se uomo di fronte all’abolizione delle quote e della soglia dei 40 anni.
Quanto alle altre misure, confermati l’innalzamento al 22% delle aliquote degli autonomi (ritocchi dello 0,3% l’anno fino al 2018), il contributo di solidarietà su pensionati e iscritti ai fondi speciali Inps (piloti, dirigenti d’azienda e via dicendo), l’armonizzazione di tutti i regimi previdenziali alle nuove regole e la stretta sulle Casse dei professionisti.
Ilsole24ore.com – 6 dicembre 2011