Irpef, Ici, mini patrimoniale e pensioni. La quinta manovra di correzione dei conti pubblici di questo terribile 2011 è quasi pronta. Il Consiglio dei ministri potrebbe essere convocato oggi stesso dal presidente del Consiglio Mario Monti, per il varo del decreto con la correzione dei conti pubblici e le prime misure per lo sviluppo.
Il pacchetto complessivo vale tra 24 e 25 miliardi di euro, e assorbe i 4 miliardi che si sarebbero dovuti trovare nel 2012 dalla riforma di assistenza e invalidità: la gran patre della somma complessivamente recuperata, circa 20 miliardi di euro, servirebbe alla riduzione del deficit pubblico, fuori linea rispetto agli obiettivi concordati con la Ue a causa della minor crescita dell’economia e di una maggior spesa per gli interessi sul debito pubblico.
Più Irpef sui redditi alti
L’aumento delle imposte sui redditi per i redditi più alti, alla fine, ci sarà: l’aliquota Irpef più alta, quella che si applica ai redditi superiori ai 75 mila euro annui lordi, e che riguarda poco più di 780 mila contribuenti, salirà di 2 o più probabilmente 3 punti percentuali. Dato per certo fino a due giorni fa, ieri l’aggravio dell’Irpef è tornato in discussione: l’intervento risulta assai indigesto al Pdl, ma non piace neanche ad alcuni esponenti dell’esecutivo, a cominciare dal super ministro dello Sviluppo, Corrado Passera. Tuttavia l’aumento delle tasse per i più ricchi ci sarà, non tanto per ragioni di cassa, perché da lì dovrebbe arrivare circa un miliardo di euro, ma per ragioni di equità, e per risolvere un rischiosissimo contenzioso aperto alla Corte costituzionale dai contribuenti colpiti dalla manovra del governo Berlusconi dello scorso anno. I pensionati e i dipendenti pubblici che guadagnano oltre 90 mila euro lordi annui sono soggetti, da allora, a un contributo di solidarietà che finora non è stato richiesto agli autonomi e ai lavoratori dipendenti del settore privato. Così il governo sarebbe arrivato alla decisione di aumentare la sola aliquota del 43%, la più alta, evitando la maggiorazione dell’aliquota immediatamente inferiore, del 41%, che avrebbe comportato un aggravio delle tasse su tutti i redditi superiori ai 55 mila euro annui lordi (in tutto sarebbe stato colpito un milione e mezzo di contribuenti). L’aumento di tre punti dell’aliquota del 43% assorbirebbe anche il contributo di solidarietà attualmente pagato dai pensionati d’oro e dai dirigenti del settore pubblico, così da risolvere alla radice il problema con la Corte costituzionale. Da qualche giorno non se ne parla più, ma per compensare il minor gettito dovuto alla revisione della manovra ipotizzata in un primo momento sull’Irpef potrebbe essere rispolverato anche un leggero ulteriore ritocco dell’aliquota più alta dell’Iva, quella del 21% che colpisce tutti i generi che non sono di prima necessità. Confermata, nel decreto, l’introduzione di un nuovo limite a 500 euro per l’uso del denaro contante, e della fattura elettronica per gli affari tra le imprese, allo scopo di combattere l’evasione fiscale.
La stangata sugli immobili
La reintroduzione dell’Ici, l’imposta comunale sugli immobili, è confermata. Riguarderà anche la prima casa di abitazione, con un’aliquota che deve ancora essere stabilita e, naturalmente, seconde e terze case, con un livello di imposizione maggiorato. Per garantire la progressività dell’imposta, e dunque evitare che incida più pesantemente sui redditi bassi che su quelli più elevati, potrebbe essere introdotto un meccanismo di deducibilità dell’Ici dalla dichiarazione Irpef, scalettato in funzione dei redditi percepiti e del numero dei componenti del nucleo familiare. Il ritorno dell’Ici sarebbe accompagnato dalla rivalutazione delle rendite catastali delle unità immobiliari stabilite nel 1997. Le rendite, secondo le ultime ipotesi sulle quali sta lavorando il governo, potrebbero essere maggiorate addirittura del 30%. Ma non è tutto, perché le rendite catastali si calcolano a partire dagli estimi che sono stati effettuati dai Comuni seguendo criteri tutt’affatto omogenei nel territorio nazionale. Determinando situazioni paradossali, per cui un’immobile di pregio, nel centro storico di una grande città, vale di meno di un’abitazione, magari nuova, nell’estrema periferia di un altro capoluogo. Così, per evitare che la rivalutazione delle rendite al 30% (oggi la rivalutazione delle rendite del ’97 si fa al 5%) finisca per amplificare, se non ingigantire, le disparità esistenti, nel decreto ci sarebbe una delega per la revisione sistematica e puntuale degli estimi. E potrebbe esserci anche una nuova definizione del prelievo sui rifiuti solidi urbani, per uscire dalla confusione creata dal passaggio da imposta (la Tarsu) alla tariffa (la Tia, soggetta pure all’Iva). Dalla manovra sulla casa, nel complesso, arriverebbero almeno 5 o 6 miliardi di euro. La sola reintroduzione dell’Ici sulla prima casa vale 3,5 miliardi.
Patrimoniale e Luxury tax
La novità dell’ultima ora è un’altra tassa. Oltre alle nuove imposte sui beni immobili (l’Ici si applica anche a terreni, aree edificabili e capannoni industriali) il governo sta studiando l’introduzione di una tassa patrimoniale, definita “mini”, sulla ricchezza mobiliare. A essere colpiti, con un’aliquota in percentuale che è ancora da stabilire, sarebbero alcune forme di investimento, come le polizze assicurative sulla vita, i fondi comuni, i trust. E non si esclude l’ipotesi che possa essere elevata anche l’aliquota della ritenuta secca sui redditi delle attività finanziarie. È stata appena armonizzata al 20% per tutti gli investimenti, fatta eccezione per quelli in titoli di Stato, e potrebbe essere portata al 23%, cioè al livello del primo scaglione delle aliquote Irpef. Non basta, perché si annuncia anche un nuovo prelievo non sulla proprietà, ma sul “consumo” dei beni di lusso. Le imbarcazioni sarebbero sottoposte a una tassa commisurata alla lunghezza in metri, aerei ed elicotteri in base al peso. Non sfuggirebbero neanche le automobili supersportive: dopo l’inasprimento del bollo deciso già dal governo Berlusconi con la manovra dello scorso mese di luglio, si prospetta un’altra stangata per i veicoli che hanno una potenza superiore ai 170 cavalli.
Pensioni, nuova riforma
Anche qui si annunciano interventi molto decisi, e meno male che, anche secondo Mario Monti, il nostro sistema previdenziale era già il più moderno e stabile d’Europa. Di fatto si interverrà su tutti i fronti: anzianità, vecchiaia, età delle donne nel privato. Tanto per cominciare, dal 2012, scatterà il sistema di calcolo basato sul contributivo pro-rata per tutti. Anche chi aveva 18 anni di contributi nel ’95, anno della riforma Dini, se vorrà abbandonare il lavoro senza aver compiuto i 65 anni, avrà una parte dell’assegno, quella maturata a partire dal prossimo anno, con il sistema contributivo. Le uscite di anzianità sarebbero scoraggiate elevando il minimo dei contributi oggi necessari da 40 anni a 41 anni per le donne e a 42 per gli uomini. Si interverrà anche con l’allungamento dell’età per ottenere le pensioni di vecchiaia. C’è l’ipotesi di portare l’età minima degli uomini (e forse anche delle donne impiegate nel settore pubblico) a 66-67 anni già dal 2012, con l’obiettivo dichiarato di arrivare ai 70 anni entro il prossimo decennio. Anche grazie all’anticipo al 2012 dell’adeguamento dell’età di pensione alle speranze di vita, che si sono notevolmente allungate, appesantendo in prospettiva il costo del sistema per le casse della previdenza pubblica. Le donne dovranno fare un percorso un po’ più lungo per arrivare al traguardo finale dei 70 anni. Nel settore privato possono andare ancora in pensione a 60 anni, e l’età sarebbe salita gradualmente tra qualche anno, per arrivare ai 65 delle donne del settore pubblico solo nel 2026. Con la manovra che il governo è in procinto di varare dovranno accelerare questo cammino, e già dal 2012 potrebbe scattare un’età minima di pensionamento di 63 anni, con la parificazione tra uomini e donne prevista nel 2018, otto anni prima di quanto stabilito dal governo Berlusconi con la sua ultima manovra. Si interverrà anche sulla perequazione delle pensioni, cioè sui meccanismi di adeguamento all’inflazione. Sarà integrale solo per le pensioni pari al minimo (467,43 euro nel 2011), al 50% per quelle comprese tra una e due volte il minimo (935 euro), ma non ci sarà nessuna perequazione, né per il 2012, né per il 2013, per gli assegni di importo più elevato. L’ennesima riforma del sistema previdenziale sarebbe accompagnata dall’abolizione delle finestre “mobili”, che di fatto allungano già oggi l’età di pensione di un anno rispetto ai limiti di legge. E ci sarebbe anche l’aumento dei contributi previdenziali per i lavoratori autonomi, con la prospettiva di un loro allineamento a quelli dei lavoratori dipendenti.
Le misure per lo sviluppo
Il capitolo delle agevolazioni alle imprese comprenderebbe la riduzione dell’Irap sul costo del lavoro, scartando l’altra possibilità: aumentare la deduzione ai fini di Ires e Irpef. Verrebbe poi confermata l’introduzione di un premio per la capitalizzazione con un ritorno della Dit (dual income tax). Il terzo tipo di incentivo è la detrazione d’imposta del 19% per le persone fisiche che dichiarano oltre 100 mila euro e investono in fondi di venture capital o in startup. A favore delle Pmi è previsto un rafforzamento del Fondo di garanzia con garanzia e controgaranzia fino all’80% delle operazioni finanziarie. L’importo massimo garantito per singola impresa salirebbe a 2,5 milioni. Per la ricerca verrebbe confermato il credito d’imposta per le attività intra moenia delle imprese al 12% dei costi fino a un milione (20% per le nuove imprese innovatrici) e al 5% da un milione in su. E proroga dovrebbe esserci anche per il bonus energetico fino al 31 dicembre 2014. La detrazione scenderebbe dall’attuale 55% al 52% o al 51%. Per le infrastrutture è previsto il riesame dell’elenco delle opere strategiche al fine di individuare le priorità e velocizzarne l’attuazione. Allo scopo di facilitare il finanziamento dei progetti, la durata minima delle concessioni maggiori dovrebbe essere allungata a 50 anni, mentre sarebbero previste agevolazioni fiscali per favorire l’ingresso dei privati nel finanziamento e nella gestione delle opere pubbliche. Per le imprese di piccole e medie dimensioni è previsto che negli appalti si favoriscano i cosiddetti lotti funzionali. Infine sarebbe stato consentito lo sblocco dei lavori che finora erano congelati in ossequio al Patto di stabilità. Nel capitolo «liberalizzazioni» s’iscrive la vendita dei medicinali di fascia C con ricetta medica nelle parafarmacie e l’abbassamento del rapporto tra numero di abitanti e farmacie. Quanto ai carburanti, una nuova norma prevederebbe che i gestori al dettaglio possano liberamente rifornirsi da qualunque produttore o rivenditore senza vincolo di esclusiva per il 50% dell’approvvigionamento. Desta già polemiche la norma-lucchetto che stabilisce, nel caso in cui non dovessero essere riformati gli ordini entro l’anno, la loro abolizione. Pausa di riflessione invece per la proposta messa sul tavolo da Passera di pagare i circa 80 miliardi di debiti della Pubblica amministrazione verso i fornitori in titoli di Stato.
Mario Sensini – Corriere della Sera – 4 dicembre 2011