Aiuti alle banche e garanzie Bce. Francoforte potrebbe intervenire per frenare gli spread il prossimo mese sarà decisivo per salvare l’euro.
I venti giorni per salvare l’Italia iniziano ora e stavolta è difficile che si possa conquistare altro tempo. I decisori d’Europa hanno già militarizzato il calendario del mese di dicembre come la mappa della battaglia decisiva. La Banca centrale europea, il governo italiano, la cancelleria tedesca: in tutte le stanze del potere, chi può sta piantando bandiere e spostando le proprie forze sulla carta geografica per evitare un cedimento. Che poi lo stesso risultato si riproduca nella realtà, dipenderà dalla determinazione con cui le decisioni dei prossimi giorni saranno prese.
Il momento per convincere i mercati e la Bce per l’Italia è questo: un confronto formale su nuovi eventuali interventi, a Francoforte, non partirà prima di aver preso visione delle misure del governo. Poi tutto il processo potrà – o potrebbe – finalmente accelerare. Il primo passaggio è già all’Eurogruppo dei ministri finanziari europei di oggi, un debutto con il cappello da ministro dell’Economia nel quale Mario Monti presenterà le misure a cui lavora il governo. Queste arriveranno sono lunedì prossimo e, visto da Francoforte, non si tratta di un passaggio meramente formale. Il capitale di credibilità del premier è intatto nelle capitali d’Europa, ma quello del Paese che rappresenta e del Parlamento che lo sostiene non più. La Bce vuole veder chiaro nelle misure – numeri, scadenze, meccanismi – prima di discutere formalmente qualunque nuova iniziativa a favore dell’Italia. Non che il presidente Mario Draghi dubiti di Monti, ma molti nel Consiglio della banca si sono già sentiti traditi dall’Italia quando Silvio Berlusconi tirò i remi in barca dopo i primi interventi dell’Eurotower in agosto. Ora non hanno più voglia di prendere rischi: la crisi dell’euro in fondo è anche la crisi dei loro posti di lavoro, oltre a quella di un continente.
Dunque solo dopo il Consiglio dei ministri di lunedì prossimo tutto potrà accelerare. Se la Bce riterrà che le misure italiane possono rassicurare i mercati (alla lunga) sulla capacità del Paese di crescere, discuterà nuovi interventi. Alcuni nel Consiglio direttivo di Francoforte pensano ad acquisti illimitati di titoli di Stato italiani (e spagnoli), solo una volta superato un certo livello degli spread. Per ora però sembra più probabile che l’Eurotower si orienti su acquisti incisivi sì, ma solo fino alla soglia dei 20 miliardi alla settimana.
Su questo, si considera ancora escluso che un annuncio possa arrivare già nel prossimo vertice della Bce dell’8 dicembre. Per allora la banca centrale si concentrerà nel montare una enorme camera a ossigeno per le banche europee. L’infrastruttura si fonderà su due pilastri: un’asta illimitata di liquidità a tre anni, più la scelta di accettare in garanzia per i prestiti agli istituti anche titoli di scarsa qualità. Così l’Eurotower intende sostituirsi al mercato paralizzato da una glaciazione forse peggiore che ai tempi del crac di Lehman. La liquidità illimitata a tre anni, punta infatti a permettere alle banche di rimborsare i debiti in scadenza e intanto di continuare a concedere crediti alle famiglie o alle imprese anche sulle scadenze medio-lunghe. Oggi la sfiducia è tale che molte banche trovano fondi sul mercato solo a scadenza di un giorno, non oltre. Ma hanno esposizione sulle imprese o sui mutui a venti o a trent’anni: possono recuperare i loro soldi solo in un futuro distante, ma devono rimborsare i debiti ogni giorno. «È come guidare in autostrada con un joystick al posto del volante», osserva un banchiere. Il rischio di un incidente è elevatissimo.
Sarebbe un disastro a catena: solo nel primo trimestre del 2012 il settore del credito in Europa ha bisogno di fondi per 280 miliardi di euro per evitare un’insolvenza, poi di 800 miliardi su tutto l’anno. Di qui anche l’idea della Bce di accettare dalle banche titoli di dubbia qualità in garanzia per i suoi prestiti. Per molte banche, può rivelarsi una pozione salva-vita. Soprattutto gli istituti di media o piccola taglia hanno infatti già esaurito la carta «solida» da portare in Eurotower in cambio di fondi freschi e, senza questa svolta, non potrebbero più alimentarsi alla banca centrale. Per l’istituto di Draghi è un rischio, ma non c’è scelta.
A quel punto la mappa di dicembre prevede il vertice europeo del 9. Monti allora spiegherà le misure dell’Italia e, sperabilmente, convincerà. Angela Merkel – sostenuta da Nicolas Sarkozy perché il leader francese non ha altra scelta – cercherà di far passare le proprie: la Germania punta al massimo dei vincoli nella sorveglianza di bilancio dei Paesi dell’euro. Contro il potere di veto europeo sulle decisioni di bilancio nazionali si è già alzato un fuoco di sbarramento e per ora Merkel è arretrata. Ma altre proposte di pari impatto certo seguiranno: dal vincolo di pareggio in costituzione alle sanzioni rafforzate.
A quel punto tutto sarebbe pronto, nella settimana che inizia il 12 dicembre, perché la Bce incrementi la sua azione di sostegno ai titoli di Stato. Non è certo troppo presto: l’Italia deve rifinanziare circa 150 miliardi nel primo trimestre del 2012, l’area-euro in totale circa 400. Il mercato è oggi quasi del tutto chiuso, eppure le banche e gli Stati d’Europa hanno bisogno di circa 700 miliardi nei prossimi tre mesi e mezzo solo per non collassare.
Non è una battaglia disperata, ma è da combattere e chiudere in fretta. Presto il mercato capirà che la crescita italiana l’anno prossimo può toccare un nadir di meno 3%. A quel punto sarà chiaro che il buco di bilancio che separa dal pareggio nel 2013 sarà più largo. E il debito rischia di non scendere (o di salire) in rapporto a un’economia che arretra. Una definitiva perdita di fiducia degli investitori diventerebbe tutt’altro che impossibile. Per questo la mappa dei prossimi dieci o venti giorni è quella vitale per mettersi in salvo: in caso contrario, ciò che verrà dopo sarà solo un lungo campo minato. Da attraversare solo, se ce ne saranno le risorse, incatenati alle guide dell’Fmi.
Corriere.it – 29 novembre 2011