Il premier: scelta e decisione finale spettano solo ai titolari. E oggi potrebbe saltare il vertice tra i leader sui vari nomi
Parliamoci chiaro, non è che ci possiamo permettere di dare la rappresentazione di ministri seri e competenti al cospetto di partiti che invece si azzannano tra loro per strapparsi le poltrone»: dopo la gaffe del bigliettino pizzicato dagli zoom dei «paparazzi» di Enrico Letta che offriva a nome di Bersani la sua collaborazione a Monti per dipanare il nodo dei viceministri, è comprensibile che al vertice della piramide del Pd nessuno abbia voglia di esporsi sul tema e che i leader parlino solo su garanzia dell’anonimato. Dunque è altrettanto comprensibile che i Democrats non ne vogliano sapere di prender parte alla riunione prevista per domani mattina, e chiesta dal governo, in cui pezzi da novanta di Pd, Pdl e Terzo Polo (tipo Bersani, Alfano, Bocchino e Cesa) dovrebbero valutare «rose» di «tecnici di area» da suggerire a chi di dovere.
Quindi l’incontro potrebbe saltare, sostituito da consultazioni telefoniche al riparo dai riflettori. E questo è il primo problema. Poi ce ne è un altro: il premier ha fatto sapere che a scegliere i loro vice in piena autonomia saranno i titolari dei dicasteri e questo provoca un certo disagio nei partiti. «Per la prima volta racconta un altro sherpa della «maggioranza» – i ministri sono stati nominati senza che la partita dei vice fosse già chiusa e digerita dalle forze politiche e quindi si sentono ancor più forti e legittimati. Mentre fino ad oggi quando uno entrava nella lista dei ministri definitiva già si sentiva una specie di miracolato…». Oggi invece i ministri hanno le loro idee già piuttosto chiare e aspettano che i partiti forniscano delle liste di curriculum per poter selezionare con cognizione di causa. Ma il bigliettino galeotto ha avvelenato il clima: l’Idv è fuori dalla partita e anche il Pdl sostiene che al governo devono andare solo tecnici sospettando che la vicinanza del Pd con il premier sia troppo stretta. E se a questo si aggiungono i tanti malumori provocati dai «toto-vice» usciti in questi giorni a chi si considera a torto escluso, si capisce perché la questione abbia subito una battuta d’arresto: ben che vada, il governo sarà completo solo venerdì.
Almeno i criteri però sono già chiari: rispetto al governo Berlusconi che contava 65 esponenti, Monti vuole dare un segnale di rigore con un esecutivo snello di una cinquantina di membri. Quindi, oltre a lui e ai 17 ministri, ci saranno, sembra, solo 25 sottosegretari e 7-8 viceministri. Di questi ultimi, 4 sono diretta espressione dell’Economia e sono decisi personalmente dal premier: si era parlato di Vittorio Grilli al Tesoro e di Guido Tabellini, rettore della Bocconi, al Bilancio, ma i due avrebbero declinato. Il primo, si dice, anche per ragioni di stipendio, attualmente superiore a 500 mila euro l’anno e ben più alto dei 140 mila previsti. Grilli starebbe invece valutando offerte di banche d’affari; Tabellini, già disponibile a fare il ministro, si sarebbe irritato per le voci che lo qualificano solo come vice. Nella rosa degli «economici» per ora restano Paolo De Ioanna, consigliere di Stato e capo di gabinetto di Ciampi e Padoa Schioppa; per le Finanze Vieri Ceriani, autore con Visco delle riforme fiscali del ‘96 e poi tornato in Bankitalia. Si parla anche di Piercarlo Padoan, segretario generale dell’Ocse.
Tolta la casella dell’Economia resta solo una ridda di voci con nomi di ex politici e tecnici che vanno e vengono: si fanno i nomi di Carlo Malinconico della Fieg per la delega all’Editoria; di Vito Riggio, presidente dell’Enac, per le Infrastrutture, al fianco di Passera. Il quale potrebbe usufruire di un altro vice alle Telecomunicazioni, scelto tra Roberto Viola, segretario generale Agcom, appoggiato dal Pdl, Nicola D’Angelo, sempre dell’Agcom ma indicato dal Pd, Gianlugi Magri, medico bolognese amico di Casini, ex sottosegretario all’Economia e ora membro Agcom. Sempre con Passera potrebbero andare Tullio Fanelli o Carlo Crea, rispettivamente ex commissario ed ex segretario dell’Authority Energia. Ricorrono poi i nomi di Paolo Peluffo, consigliere di Stato ed ex portavoce di Ciampi, per la Cultura o l’Istruzione; di Luisa Torchia, allieva di Sabino Cassese, come viceministro alla Funzione Pubblica. Ai finiani piacerebbe Umberto Croppi, l’Api indica Cristina De Luca, l’Udc Francesco D’Onofrio, il Pd il «dantoniano» Luigi Cocilovo, l’ex Ds Massimo Brutti per gli Interni e Giampaolo D’Andrea per i Rapporti col parlamento; in quota Pdl, oltre a Michele Saponara, ex consigliere Csm, per la Giustizia, spunta anche il nome di un ex socialista, Angelo Piazza, già ministro della Funzione Pubblica.
corriere.it – 21 novembre 2011