Medici italiani in fuga dagli ospedali. Nel 2010 oltre 4mila dottori hanno appeso il camice al chiodo. Per la precisione 4.144, di cui 3.337 uomini e 807 donne.
Un vero e proprio boom di uscite. Specie se si considera che nel biennio precedente (2008-2009) il numero dei pensionamenti si era sempre mantenuto stabile intorno ai 2.700 l’anno. Una vera impennata dal 2009 al 2010: +50% per i maschi, +70% per le dottoresse. E che conferma tutti i timori lanciati da più parti su una carenza di medici nei prossimi anni. È quanto emerge dall’analisi sulle tabelle dell’Inpdap (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica) resa nota dall’Adnkronos Salute.
I numeri dell’Inpdap: nel 2008 sono andati in pensione 2.202 maschi e 483 femmine; nel 2009 gli uomini che hanno lasciato la professione sono stati 2.227 e le donne 470; mentre nel 2010 si è arrivati a 3.337 maschi e 807 femmine. Il dato assume una rilevanza maggiore anche per la sua distribuzione omogenea in tutte le Regioni.
Analizzando le tabelle dell’Inpdap, si può infatti notare che – a parte la Valle D’Aosta – l’impennata si è registrata ovunque.
Scendendo lo Stivale da Nord a Sud, se si prendono in considerazione solo le uscite dei medici maschi tra il 2009 e il 2010, emerge questo quadro: in Veneto da 188 pensionamenti si è passati a 240; in Piemonte da 131 a 184; in Lombardia da 288 a 383; in Friuli Venezia Giulia da 53 a 72; in Trentino Alto Adige da 34 a 38; in Emilia Romagna da 144 a 241; in Liguria da 68 a 100; in Toscana da 142 a 244; in Umbria da 42 a 74; nelle Marche da 58 a 106; in Abruzzo da 70 a 91.
Nel Lazio si è passati da 238 a 321 pensionamenti; in Molise da 15 a 37; in Campania da 236 a 356; in Basilicata da 11 a 24; in Puglia da 147 a 219; in Calabria da 89 a 137; in Sicilia da 196 a 366; in Sardegna da 66 a 84. Fa eccezione la Valle D’Aosta dove nel 2009 si sono registrati 3 pensionamenti e solo 2 nel 2010.
Dalle tabelle dell’Istituto previdenziale emergono quindi percentuali di crescita – tra i medici uomini – che vanno dal 20% a oltre il 90%. Percentuali praticamente raddoppiate, e anche di più in alcune regioni, se invece si prendono in considerazione i dati relativi alle donne medico.
Sempre facendo un ipotetico viaggio da Nord a Sud ci si trova davanti a uno scenario ancora più significativo: in Veneto da 30 pensionamenti si è passati a 38; in Piemonte da 37 a 59; in Lombardia da 88 a 103; in Friuli Venezia Giulia da 8 a 16; in Trentino Alto Adige da 5 a 10; in Emilia Romagna da 32 a 76; in Liguria da 18 a 29.
In Toscana si è passati da 29 a 67 pensionamenti; in Umbria da 11 a 17; nelle Marche da 7 a 15; in Abruzzo da 12 a 21; nel Lazio da 69 a 111; in Molise da 3 a 6; in Campania da 28 a 67; in Basilicata da 2 a 3; in Puglia da 16 a 33; in Calabria da 18 a 22; in Sicilia da 31 a 77; in Sardegna da 23 a 33. In Valle D’Aosta nel 2010 si è registrata solo un’uscita, mentre nel 2009 nessuna donna aveva lasciato la professione.
Per il segretario nazionale della Fp Cgil Massimo Cozza il fenomeno è frutto di diversi elementi. «In particolare – spiega – hanno giocato un ruolo importante il contratto bloccato e la retribuzione congelata proprio dal 2010, nonché gli annunci delle nuove norme penalizzanti sulle pensioni (con lo scatto dei 65 anni per le donne che lavorano nel pubblico impiego dal 2012) alle quali si sono aggiunte quelle relative al differimento e alla diluizione del Tfr. Dal 2011 è poi scattato l’iniquo prelievo forzoso del 5% della retribuzione oltre i 90 mila euro che colpisce solo chi lavora nel servizio pubblico».
Anche per il segretario dell’Anaao Assomed, Costantino Troise, vi sono aspetti – anche organizzativi – che giocano contro la permanenza in servizio. «Ad esempio – spiega – la bassa probabilità di raggiungere posizioni elevate di autonomia professionale (solo l’8% dei dirigenti medici diventa direttore di struttura complessa), oppure la mancata applicazione delle raccomandazioni contrattuali secondo cui ai medici con più di 55 anni di età si sarebbero dovuti evitare i turni di guardia notturna. Ma anche le difficoltà crescenti di godere delle ferie e perfino dei turni di riposo previsti dalla legislazione nazionale e dalle direttive europee».
Un altro ruolo decisivo nello spingere i medici ad abbandonare il camice sembra averlo giocato il blocco del turn over imposto alle Regioni alle prese con i piani di rientro, ma in gran parte attuato anche nelle altre per le minori risorse disponibili.
«Sappiamo che molti medici stanno andando in pensione ma, comunque, non soffriremo di alcuna carenza», ha commentato il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, a margine della seconda conferenza nazionale sulla ricerca sanitaria, a Cernobbio. «L’Italia parte infatti da un livello di medici superiore a quello della media Ocse – spiega -, abbiamo dunque calcolato che con i 10 mila studenti che ogni anno entrano nella facoltà di medicina dovremmo essere in grado di tenere e non soffrire di carenza».
Fazio ha precisato che nel piano sanitario nazionale è stato segnalato che «ci sarà una riduzione di medici nei prossimi anni – conclude – che però non significherà una carenza, perchè l’Italia è sopra la media Ocse».
«Alcuni anni fa mettemmo in guardia tutti: era facile prevedere un’uscita dal lavoro relativamente precoce dei medici. Un fenomeno figlio del clima di incertezza che si respira all’interno delle aziende sanitarie, dove le condizioni di lavoro si fanno sempre più difficili», ha detto Amedeo Bianco, presidente della Fnomceo, commentando i dati dell’Inpdap.
«Sta venendo meno – sottolinea Bianco – un collante formidabile che ha accompagnato lo sviluppo del Servizio sanitario nazionale. Si registra sempre più uno scollamento tra lo sviluppo della propria vita professionale e quello del sistema in cui si lavora».
Per Bianco la generazione che sta uscendo è quella che ha contribuito a far nascere e a sviluppare il Ssn. Un sistema, sempre più strozzato da ristrettezze economiche, che ora questi medici faticano a riconoscere. Bianco fa quindi un esempio di questo disagio professionale vissuto dai camici bianchi. «All’interno degli ospedali ci sono medici che si ritrovano fianco a fianco con colleghi precari, che vanno e vengono. Uno scenario che impedisce la nascita di qualsiasi progetto professionale. Con il dilagare di questi contratti atipici – conclude Bianco – tutto diventa atipico. Anche il rapporto con il servizio. E quindi – conclude – chi può andare in pensione va».
Sanita.ilsole24ore.com – 7 ottobre 2011