Offerta all’Italia una linea di credito da 44 miliardi. Prima intesa sulla «sorveglianza rafforzata»
Qualcuno si divertirà pure a collezionare le sue celebri gaffes . Ma dopo diciassette anni di vertici internazionali, Silvio Berlusconi conosce le liturgie forse meglio di qualunque altro leader: non è tipo da dimenticarsi di ringraziare qualcuno con cui intenda restare in buoni rapporti.
Eppure quando ieri alla colazione dei leader del G20 a Cannes il premier è passato alle formule di cortesia, più d’uno in sala ha drizzato le antenne. Perché Berlusconi ha ringraziato il Fondo monetario internazionale, guidato da Christine Lagarde. Possibile?
Formalmente l’Fmi non ha (ancora) fatto niente per l’Italia, ma la giornata di ieri sull’asse fra Roma e l’organismo di Washington è stata lunga e sofferta.
Poco importa: il premier ha espresso riconoscenza alla signora Lagarde «per l’aiuto offerto». E stavolta la spiegazione di tutta questa cortesia non va cercata solo nella padronanza dei riti da vertice del veterano Berlusconi. Dev’esserci qualcos’altro, di più concreto. Anzi c’è qualcos’altro: la possibilità, prospettata ieri al presidente del Consiglio, di accedere in tempi brevi a una linea di credito dell’Fmi da 44 miliardi di euro.
L’Italia dopo varie riflessioni avrebbe declinato, almeno in parte. A fine giornata, molto tardi, l’accordo che stava emergendo era un compromesso: il governo di Roma non ha richiesto alcun sostegno finanziario al Fondo monetario, ma avrebbe accettato una «sorveglianza rafforzata» che i tecnici di Lagarde chiamano «monitoring and reporting». Quest’ultimo è il primo gradino dei passaggi dell’Fmi quando un Paese entra nei suoi programmi di assistenza.
Tutto, o molto, dev’essere iniziato ieri mattina a Cannes quando Berlusconi si è chiuso in una stanza con Lagarde, i leader di Francia e Germania Nicolas Sarkozy e Angela Merkel e i leader comunitari Herman Van Rompuy e José Manuel Barroso. Con il premier c’era anche il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. È lì che le pressioni sulla delegazione italiana devono essere salite, anche se nel gruppo arrivato da Roma nessuno è rimasto poi troppo sorpreso.
Tutti sanno infatti che il Fondo monetario internazionale dispone di uno «strumento» che i tecnici di Washington chiamano « precautionary credit line », linea di credito precauzionale. Si tratta di una somma che, «a prevenzione di una crisi», l’Fmi mette a disposizione di un Paese che presenta delle «vulnerabilità»: a priori il governo interessato può benissimo non toccare quel denaro, ma i soldi stanno lì pronti in qualunque momento in caso di bisogno. Questa linea di credito può arrivare a cinque volte la quota di un Paese presso l’Fmi stesso per i primi mesi, poi può salire fino a dieci volte la quota se c’è «progresso soddisfacente nel ridurre le vulnerabilità».
Sulla base di questi calcoli Christine Lagarde ha messo a disposizione dell’Italia 44 miliardi di euro subito e potenzialmente il doppio tra un anno, tutti crediti rinnovabili per un biennio. In contropartita il Fondo vorrebbe verificare che il Paese stia affrontando sul serio le proprie «vulnerabilità»: le riforme che l’Italia ha sempre rinviato, quelle di cui parla l’ormai lungo carteggio scambiato negli ultimi mesi sul triangolo Roma-Francoforte-Bruxelles.
Le discussioni si sono svolte su vari aspetti. Fatto sta che ieri nel primo pomeriggio il portavoce dell’Fmi, David Hawley, ha dichiarato che presso l’organismo di Washington «non c’è nessuna richiesta di finanziamento da parte dell’Italia». È infatti presto per concludere che l’Italia e l’Fmi si metteranno d’accordo sulla linea di credito. Roma non ci sta, anche perché una richiesta formale di aiuto di questo tipo sarebbe un evento tristemente storico: è dai tempi del primo choc petrolifero che l’Italia non deve presentarsi al Fondo in cerca di un prestito per poter andare avanti.
Quelli erano altri tempi, ma anche adesso i negoziatori italiani hanno dovuto prendere l’offerta di Christine Lagarde estremamente sul serio. Da principio, ieri alcuni avevano persino interpretato il ringraziamento pubblico di Berlusconi all’Fmi come un assenso a muovere il passo formale di chiedere sostegno. Il Tesoro infatti potrebbe ormai non avere molte altre possibilità di sostegno: disporre di quella linea di credito subito, per il governo, significherebbe non dover affrontare ciascuna delle prossime aste di collocamento dei Btp con l’ansia di un flop. Il 14 novembre l’Italia deve collocare oltre 10 miliardi di titoli fra scadenze a 5 e a 10 anni, ma nelle condizioni attuali ha di fatto perso accesso al mercato. Nel primo trimestre dell’anno prossimo poi l’Italia dovrà rinnovare circa 91 miliardi di euro solo di Btp in scadenza. Molti operatori ripetono che gli unici acquisti di carta italiana in queste ore vengono esclusivamente dalla Bce. Un’ulteriore rete di sicurezza, oltre quella del sistema europeo di salvataggi e agli acquisti della Banca centrale europea, potrebbe rivelarsi preziosa. Ma l’aiuto del Fondo non è gratis in termini politici: al contrario, hanno concluso alcune delle maggiori autorità in Italia, esso porterebbe con sé un costo elevato. I Paesi che devono chiedere soccorso all’Fmi, anche nella forma «leggera» di una linea precauzionale, subiscono un marchio che viene considerato un’umiliazione internazionale. Inoltre, il governo dovrebbe finire per rendere conto in modo vincolante a un numero crescente di istituzioni esterne al Paese: al Consiglio europeo per gli eventuali aiuti del fondo salvataggi, alla Bce per gli interventi sui Btp, e infine a Lagarde per la linea di credito da 44 miliardi. Troppi arbitri, troppo alto il prezzo politico delle difficoltà sul debito.
Davanti alle pressioni esercitate a Cannes, il compromesso di ieri prevede dunque solo una «sorveglianza rafforzata» dell’Fmi: essa stessa un ingranaggio piuttosto stringente. Per il futuro si vedrà, in base alla capacità del Paese di reagire all’emergenza e di finanziarsi sul mercato.
Corriere.it – 4 novembre 2011