Un capo infestato dalla peste suina vale 500 euro, un capo sano al massimo 350. La peste suina nell’isola imperversa da decenni e non è mai stata debellata.
Ma ora che il ministro della Salute Fazio minaccia il blocco totale e la chiusura dei mercati per le carni suine provenienti dalla Sardegna centrale, l’associazione degli industriali nuoresi e ogliastrini insorge.
Gli industriali chiedono che l’emergenza sia finalmente «affrontata in maniera strutturale» e dicono «basta agli indennizzi di Stato per i capi infetti». II dubbio, infatti, è che per qualche allevatore gli indennizzi rendano pià dell’allevamento. E il presidente della Confmdustria nuorese, Roberto Bornioli, a farsi portavoce delle aziende di trasformazioni delle carni della Sardegna centrale. «Nelle province di Nuoro e Ogliastra – spiega Bornioli —abbiamo 1’80 per cento dei salumifici sardi, aziende che realizzano circa il 60 per cento delle lavorazioni suinicole». Le dieci imprese di lavorazione e commercializzazione di carni suine inscritte alla Confmdustria occupano direttamente 400 persone (oltre mille considerando l’indotto), per un fatturato annuo che supera i 140 milioni di euro. In provincia di Nuoro i capi macellati ogni anno sono circa 60mila, in Ogliastra 40mila. Per Bornioli «la Regione si sta muovendo bene, perchè per ora ha impedito il blocco che voleva il ministro Fazio, ma chiediamo di essere coinvolti. Anche perchè il blocco riguarderebbe solo la Sardegna centrale, mentre i focolai di peste suina sono stati segnalati anche nel Campidano e nel Sarcidano». I dati dell’Asl lo confermano: «I focolai sono un po’ dappertutto — spiega Daniela Forma, dell’azienda Forma centro carni srl — arrivano fino alle porte di Cagliari. E un problema che riguarda tutta la Sardegna». Su 4.347 casi accertati quest’anno, tra giugno e i primi giorni di otto- bre, 3.813 sono stati segnalati in Ogliastra (3.748 solo a Lanusei, gli altri casi a Arzana, Girasole e Loceri), 278 nel Medio campidano (tutti a Guspini), 109 nel Sassarese (70 a Bono, 29 a Benetutti e 10 a Monti), 103 nel Cagliaritano (tutti a Muravera), 42 nell’Oristanese (33 a Siamaggiore, 5 a Santu Lussurgiu e 4 a Neoneli) e appena 2 nel Nuorese (nel capoluogo e a Desulo). Altri due casi sono stati segnalati appena ieri, uno a Donori e un altro a Monastir. «Abbiamo chiesto alla Regione di tutelare i macelli e i centri di trasformazione — continua Forma — per chi il blocco renderebbe vani gli sforzi fatti dal 2004, anno dell’ultima recrudescenza del contagio. Le misure previste dal ministero per noi sarebbero letali». Un concetto sottolineato da Daniela Falconi, titolare della Fattorie Gennargentu di Fondi: «Ogni chilo di carne che portiamo fuori dall’isola — spiega — deve essere certifica- Qualcuno può trarre vantaggi dall’epidemia ma tutto il comparto subisce seri danni . Una trafila costosa e rigidissima, considerato che il 20 per cento delle nostre carni le compriamo in Sardegna». Falconi sottolinea anche un altro aspetto: «La peste suina ritorna ogni volta che ci sono gli incentivi per abbattere i capi contagiati. Mentre basterebbe isolare per qualche mese il suino ammalato e la peste scomparirebbe. Per questo alla Regione chiediamo che non ci siano più indennizzi ma un aiuto per chiudere finalmente la filiera del suino. Perchè in questo settore le nostre aziende hanno un potenziale enorme». Ma ora che sopraggiunge il Natale, sussurra Falconi, «ho il terrore che si riprenda con la macellazione familiare e che quindi si ripresenti la trichinellosi. Secondo Bornioli, l’unica azienda in Sardegna che segue per intero la filiera del suino, dall’allevamento alla macellazione, è la Gardalis di Locri. II titolare, Luigi Usai, dice di avere la soluzione per risolvere il problema: «Basterebbe che i sindaci vietassero il pascolo brado per un anno e si controllassero tutti gli allevamenti. Ora la mia azienda è stata sottoposta al blocco per chi a meno di 10 chilometri dalla mia azienda hanno trovato un focolaio di peste. Ma perchè, malgrado la certificazione del veterinario, non posso esportare la carne? Se non vedo la volontà politica di risolvere il problema, a fine novembre smetto di allevare i maiali e mi dedico solo alla macellazione». Anche Usai dice basta agli indennizzi dello Stato: «Per una scrofa danno circa 500 euro, mentre il prezzo di mercato è di 350 euro. Dunque qualcuno — insinua Gusai — potrebbe anche infettare volutamente i suoi maiali, magari comprati dalla Romania a un prezzo ancora pià basso». Il sospetto è che qualche allevatore ne approfitti, inguaiando perù le aziende vicine e tutto il comparto. Gusai sottolinea: «Chi ha avuto i maiali contagiati dalla peste riceve l’indennizzo, mentre gli allevatori che rientrano nel raggio di 10 chilometri dal focolaio devono subire il blocco senza avere diritto ad indennizzi. E in questa situazione l’azienda può fallire anche se non ha mai avuto un solo capo infetto». Sulla peste suina, ieri è intervenuto l’assessore all’Agricoltura della Provincia di Nuoro, Luigi Deiana, che alla Regione chiede di «assumersi le proprie responsabilità» e «interventi immediati e drastici». Dura la replica degli assessori regionali alla Sanità, Simona De Francisci, e all’Agricoltura, Oscar Cerchi: «Prima di lanciare appelli tardivi a mezzo stampa e buoni solo per apparire sui giornali, ci si dovrebbe informare sul lavoro che solo nell’ultimo mese la Regione ha svolto per contrastare la peste suina e gestire l’emergenza».
«Stop a finanziamenti e divieti» PAULILATINO. «Basta con i finanziamenti alle aziende con la peste suina e coi blocchi e i divieti per le aziende senza contagio che invece meritano una maggior tutela». È una presa di posizione contro corrente, quella che la Cia provinciale di Oristano. Ribadirà la sua posizione nella sesta edizione del raduno regionale degli allevatori di suini, in programma domani mattina a Santa Cristina. «Se sulla peste suina non si cambia politica, rischiamo il crollo di uno dei comparti più importanti dell’economia», dice.
Nuova Sardegna di venerdì 28 ottobre 2011