In pensione più tardi, contributi un po’ più elevati (ma dal 2015) e coefficienti di rendimento ritoccati verso il basso: l’Enpam, ente previdenziale dei medici, mette in campo la sua riforma previdenziale.
Il risultato sarà la garanzia di una sostenibilità economica a 30 anni e una copertura patrimoniale a 50 anni, fino al 2059. Un intervento d’obbligo dopo l’allarme sul futuro delle pensioni legato all’allungamento della copertura del fondo di garanzia da 15 a 30 anni previsto dalla finanziaria 2009: i conti non ce l’avrebbero fatta per più di 15-20 anni e sarebbero andati in rosso a partire dal 2030 mettendo le pensioni dei medici – salve con le misure previste – in pericolo. Una riforma ineludibile dopo i solleciti di Corte dei conti, commissione parlamentare bicamerale di controllo sugli enti di previdenza e del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che su questo argomento ha inviato giorni fa una lettera all’ente di previdenza.
Gli ingredienti della riforma sono l’innalzamento graduale dell’età pensionabile e dell’aliquota contributiva, nuovi coefficienti di adeguamento all’aspettativa di vita e, per i contributi versati dopo il 1° gennaio 2013, un coefficiente di rendimento più contenuto. Ma le nuove regole, per ora, riguarderanno solo medici di medicina generale e pediatri di libera scelta: circa 69mila professionisti in attività che rappresentano però più della metà delle entrate contributive dell’ente. Nelle prossime settimane, tuttavia, è già stata annunciata la presentazione di misure analoghe anche per liberi professionisti, specialisti delle Asl e specialisti accreditati con il servizio sanitario.
A illustrare le manovra è stato ieri a margine del congresso nazionale Fimmg, il maggior sindacato dei medici di medicina generale, il vicepresidente dell’Enpam Alberto Oliveti, che ha anche annunciato di aver «già modificato il modello organizzativo degli investimenti per assicurare scelte con la maggiore prudenza possibile», in risposta a un altro allarme lanciato da Corte dei conti, Commissione bicamerale e ministero del Lavoro che più volte hanno sollecitato l’ente a considerare con estrema prudenza il ricorso a investimenti e strumenti finanziari a rischio, che negli scorsi anni hanno portato perdite consistenti. Oliveti ha anche annunciato «un piano triennale di risparmi con tagli ai costi di gestione per 14 milioni».
La prima novità della riforma è l’innalzamento graduale dell’età della pensione di vecchiaia che passerà, di sei mesi in sei mesi, dagli attuali 65 anni a 68 anni dal 2018 in poi. Dal 1º gennaio 2013 entreranno anche in vigore nuovi coefficienti di adeguamento all’aspettativa di vita: chi resterà al lavoro più a lungo sarà premiato e i contributi versati dopo il compimento dell’età della pensione ordinaria di vecchiaia varranno il 20% in più. Chi invece preferirà la pensione anticipata (a partire dai 58 anni con 35 anni di contributi e 30 anni di laurea) avrà una riduzione rispetto alla pensione ordinaria.
Le altre misure previste sono una minore valorizzazione dei contributi versati dopo il 1º gennaio 2013 che avranno un coefficiente di rendimento più contenuto (1,4 contro l’1,5 attuale) e l’innalzamento graduale dell’aliquota contributiva dall’attuale 16,5% fino a circa il 26% nel 2026. L’aumento delle aliquote però non scatterà prima di gennaio 2015: le ultime manovre economiche hanno bloccato contratti e convenzioni fino al 2014 e un aumento dei contributi prima di quella data si tradurrebbe in una riduzione della busta paga dei medici.
Infine, è stata prevista anche una rivalutazione maggiore delle pensioni più basse e un sistema di correttivi per una migliore valorizzazione dei contributi dei “più giovani”, gli under 50.
8 ottobre 2011 – di Paolo Del Bufalo (da Il Sole-24 Ore)